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sabato 8 giugno 2013

Come motivare una squadra


Come motivare una squadra:
In qualsiasi squadra sportiva (calcio, pallacanestro, pallavolo ecc) nulla può influire la prestazione di un giocatore come una perdita improvvisa della motivazione. Il lavoro fisico, atletico è senza subbio importante, ma corpo e mente si muovono di pari passo ed è opportuno raggiungere i livelli di motivazione adeguata e accompagnare gli atleti alla vittoria.
Che tu sia un allenatore, un atleta, un dirigente, in questa guida ti fornirò alcuni suggerimenti per gestire lo stato d’animo di una squadra e fargli acquisire le capacità di reagire allo stress o recuperare nel caso di una normale sconfitta. Si tratta di linee guide basilari e occorre sempre valutare in base ad ogni singola squadra quale punto approfondire.
In ogni caso, ecco 4 punti da seguire per un buon allenamento mentale:
1. Dichiarazione di intenti
2. Visualizzazione
3. Responsabilità condivisa
4. Gestione dello stress

1 – Dichiarazione di intenti
Ad inizio stagione è bene definire l’obiettivo principale. Definire l’obiettivo è l’essenza della motivazione in qualsiasi settore compreso quello sportivo. Una squadra vincente deve essere a “conoscenza” che sta lottando per un trofeo o per un campionato. Scrivi l’obiettivo su una lavagna, discutine, definiscilo bene con la squadra.
In alcuni casi potrebbe essere utile trascrivere l’obiettivo su uno o più fogli di carta o stamparlo con l’ausilio di un computer per poi tappezzare i principali luoghi frequentati dai calciatori durante gli allenamenti.

2 – Visualizzazione
Un adeguato esercizio di visualizzazione prima di una partita dovrebbe diventare un abitudine per un atleta. Sono tanti i giocatori di tennis o di basket che hanno ottenuto risultati sconvolgenti grazie alla visualizzazione. Il principio su cui si basa è “semplice” o meglio: la nostra mente non distingue la realtà da quello che viene immaginato in modo vivido. Se noi riusciamo a vedere, immaginare un’azione, la nostra mente non riesce a distinguerla dalla realtà.
In pratica devi dare la possibilità alle mente di vedere, sentire ed esprimere emozioni positive sulle prossime azioni di gioco. Per esempio, nel calcio potresti far immaginare battere una punizione o tirare un rigore, nel basket, un tiro libero ecc. ecc.
E sai cosa succede? Quando nella realtà di presenterà un azione di gioco simile a quella che è stata immaginata, la parte inconscia della mente dell’atleta tenderà a ripetere quello che più volte ha immaginato.
Esempio:
Supponi che un giocatore di basket voglia migliorare le prestazioni nel tiro libero:
Fase A:  
Chiedi all’atleta di immaginare un’azione di successo mentre la palla va a canestro. L’immaginazione deve necessariamente coinvolgere tutti i sensi (vista, udito, olfatto, gusto e tatto).  Supportalo con delle domande: quale espressione degli occhi devi avere? Quali emozioni? Come deve essere lo sguardo?Che postura? Come respiri mentre la palla va a canestro? Cosa senti? Come sono i colori ecc. ecc.
Fase B: 
Ripetere l’esercizio dieci volte, in modo che diventi sempre più facile e veloce eseguire i movimenti. L’allenamento mentale deve essere svolto almeno per una ventina di giorni per apprezzarne i risultati.
Ci sono casi in cui il coach prenda ad esempio un campione di riferimento, utilizza dei video o coinvolga anche altri giocatori per costruire una scena collettiva. Comunque già la visualizzazione in sé, quella che abbiamo visto, è di una straordinaria efficacia.

3 – Responsabilità condivisa
Le responsabilità dei giocatori bisogna distribuirla equamente. E’ un principio semplice e senza la quale –secondo me- si farebbe difficoltà a parlare di squadra. Evita quindi, di identificare uno o due giocatori come leader della squadra. Concentrarsi sulle competenze di una solo giocatore, potrebbe demotivare il resto della squadra.
Devi gestire, devi distribuire equamente la responsabilità dei giocatori nei discorsi negli spogliatoi, prima di iniziare una partita. Cerca di coinvolgere tutti i giocatori indistintamente, ognuno ha il suo ruolo e tutti compongono la squadra che li porterà alla vittoria.
Ogni maledetta domenica: discorso motivante

4 – Gestione dello stress
Insegnare ai giocatori a gestire lo stress generato durante la competizione è utile sia per controllare i nervi sia per evitare che sfocino paure. Innanzitutto è buona norma spiegare ai giocatori cosa devono aspettarsi durante ogni partita, quali potrebbero essere le difficoltà. Spesso ci si spaventa più di quello che non conosciamo, rispetto a quello che potrebbe davvero accadere.
E poi, come primo esercizio, insegnare agli atleti ad utilizzare una corretta respirazione diaframmatica.
Giuseppe potresti fare un esempio di respirazione?
Proviamo insieme:
Fermati qualche secondo e comincia a respirare profondamente…chiudi gli occhi se vuoi….e mentre senti il terreno sotto i piedi… mantieni una postura corretta…ora cerca di inspirare con il naso gonfiando solo la pancia e lasciando fermo il torace…
Poi espira con la bocca aperta… sgonfiando la pancia…concentrati e ascolta il tuo respiro, l’aria che entra ed esce dai tuoi polmoni…rallenta il respiro sino a quando puoi contare fino a 5 secondi di inspirazione e 5 secondi di espirazione…
Continua a respirare fino a quando il tuo stato d’animo è totalmente rilassato e sicuro…
Ti consiglio di eseguire gli esercizi mentre ascolti musica rilassante o anche classica, cosi il cuore si sincronizzerà col ritmo della respirazione.

Fonte: http://www.motivazionepersonale.com/motivare-una-squadra-i-4-punti-decisivi/
Autore: Giuseppe Franco
Per saperne di più: www.giuseppefranco.it - www.coachmilano.it 

giovedì 8 novembre 2012

L'autostima


Lo sport nelle sue varie discipline e specialità (di forza, resistenza e destrezza) può avere più fini quali: ricreativi (distrae e diverte), educativi (favorisce il movimento e la psicomotricità), agonistici (competizioni individuali e di squadra), e professionistici (nel calcio, nel basket, sport motoristici…) ecc.
Gli studi del settore hanno evidenziato che gli sportivi di alto livello si differenziano da quelli meno esperti in 5 componenti psicologiche:
  1. concentrazione,
  2. controllo dell’ansia,
  3. fiducia nelle proprie capacità,
  4. preparazione mentale,
  5. motivazione.
L’aspetto mentale è, quindi, talmente importante in una prestazione sportiva, che atleti esperti di varie discipline, come la ginnastica, il sollevamento pesi, la lotta, la pallacanestro, spesso attuano pratiche mentali spontanee per il controllo dell’ansia e il miglioramento della concentrazione (uso di pensieri positivi, frasi affermative, tecniche immaginative,…). Abilità mentali efficaci sono spesso acquisite dagli atleti attraverso prove ed errori, in anni di esperienza.
Forma fisica e forma mentale sono, quindi, ugualmente importanti per l’atleta: la forma fisica si ottiene con l’allenamento ed uno stile di vita adeguato allo sport, sotto la guida di allenatori, direttori sportivi, preparatori; la forma mentale si raggiunge con esercizi specifici con l’aiuto di uno Psicologo dello Sport competente.
Il giusto sviluppo delle abilità mentali e motorie, necessarie per far fronte alle richieste dell’allenamento e della competizione, deve mirare alla realizzazione delle potenzialità personali e ad una maggiore soddisfazione per l’attività sportiva; tutto questo comporta uno stato di benessere che va al di là della sola attività sportiva, ma si traduce in sicurezza nelle proprie capacità, autostima, autocontrollo, gestione dello stress,e tanto altro ancora….
Se è vero che lo Sport consente di avere:
- maggiore capacità di tollerare gli insuccessi, possibilità di esprimere, dominare e controllare la propria aggressività,
- acquisizione di una sicurezza di sé, attraverso la partecipazione alla vita di gruppo,
- maggiore identificazione di sé attraverso l’acquisizione di ruoli determinati,
- senso di partecipazione sociale, derivante dall’accettazione di valori comuni,

- comprensione di sentimenti di inferiorità e maggiore aderenza alla realtà attraverso gli effetti concreti derivanti dall’osservanza delle regole di gioco,
- giustificazione, socialmente approvata, di certi bisogni esibizionistici,

è vero anche che queste sono delle dinamiche dell’uomo comune. L’atleta in quanto essere umano le mette in atto, anche se in modo del tutto particolare.
In qualsiasi situazione sportiva, a seconda del fine che le regole del gioco impongono, l’atleta deve,quindi, essere in grado di adoperare tutta la sua abilità cognitiva motoria per rendere massima la sua prestazione.
Tuttavia l’atleta può sempre incorrere in una prestazione scadente e questa può essere dovuta oltre che ad un’esecuzione poco corretta del movimento anche ad un’errata valutazione della situazione, ad una scarsa intesa con i compagni, alla predominanza inadeguata delle azioni individuali rispetto a quelle collettive o ad un errato riconoscimento delle proprie qualità.
In questo ambito cercheremo di approfondire l’importanza legata ad un errato riconoscimento delle proprie qualità, ricordando che, c'è sempre una stretta relazione tra autostima, fiducia in se stessi e prestazione. In effetti, le credenze, su di se o sugli altri, possono essere distinte in due grandi famiglie: quelle neutre o puramente descritte (sono alto 180 cm) e quelle valutative (io sono un buon atleta). Una credenza valutativa si distingue da una credenza neutra per il fatto di avere una valenza positiva o negativa, e ha una valenza perché contiene un’informazione su qualche abilità o su una mancanza di abilità. Una cattiva prestazione è una mancanza di potere rispetto alla scopo che ci siamo prefissati; essere dei buoni atleti implica di avere potere rispetto allo scopo di avere una buona prestazione. Noi tutti, consciamente ed inconsciamente, siamo continuamente impegnati nell’elaborare valutazioni sul mondo e sui noi stessi. Valutare è un’attività cognitiva di fondamentale importanza. Se è vero che le valutazioni sono credenze su poteri, sapere cosa è buono o cattivo, quando lo è e per quali scopi, è condizione per un comportamento efficace ed efficiente. Senza valutazioni, siano esse positive o negative, agiremmo al buio, aumentando il rischio di insuccessi e lo spreco di energie e di risorse. Tra le tante valutazioni, quelle su noi stessi hanno un posto privilegiato. E se ne capisce bene anche l’utilità. Se non fossimo capaci di valutare noi stessi e di distinguere le autovalutazioni dalle valutazioni sugli altri oggetti fisici e sociali, non potremmo distinguere ciò che dipende da noi da ciò che dipende da circostanze esterne, quindi l’autovalutazione è una conoscenza di un individuo relativa al potere che egli stesso ha rispetto a un certo scopo. Questo ci impedirebbe di agire n modo adattivo, perché non saremmo in grado di stabilire le nostre probabilità di successo nelle varie circostanze e di adeguare i nostri mezzi alle circostanze stesse.
Valutarsi è così importante perché è utile, assolve delle funzioni. E’ utile valutarsi correttamente perché si permette a se stessi di sapere quali sono i propri poteri e la loro entità, aiutandosi ad agire in modo efficiente, efficace, razionale, pianificato, senza sprechi di risorse e aumentando le probabilità di riuscita. E’ utile anche avere autovalutazioni coerenti e stabili, questo bisogno autovalutativo è radicato nella necessità generale di controllare e prevedere la realtà: le autovalutozioni contraddittorie o troppo mutevoli, infatti, non permettono di capire chi siamo veramente, cioè quali sono le nostre reali doti, possibilità e carenze, ne cosa possiamo aspettarci da noi stessi. Un tale stato di incertezza e sospensione del giudizio ostacola anch’esso un comportamento adattivo ed è fonte di grande disagio. Infine , è utile valutarsi positivamente: una buona autostima favorisce un atteggiamento fiducioso ed un comportamento costruttivo. E’ quell’incentivo, quella molla motivazionale che ci da intraprendenza e tenacia, senza le quali è difficile prendere ogni iniziativa,senza un’autovalutazione positiva infatti: le circostanze e le richieste delle vita si tingono immediatamente di connotazioni preoccupanti: si tratti dell’oscuro senso di minaccia di fronte al rischio di non riuscire a rispondere adeguatamente a queste richieste, oppure del desolante senso di sconfitta e di disperazione di fronte alla certezza del fallimento.
Ogni atleta sente continuamente il bisogno di sapere di che pasta è fatto e quanto vale e per riuscire a valutarsi positivamente deve avere fiducia in se stesso, cioè deve poter confidare nelle proprie capacità di successo. Ci sono però molte distorsioni cognitive che possono disturbare il pensiero relativamente all’ autovalutazione. Tali distorsioni contribuiscono a creare un’autostima inadeguata. Quando il problema è di questa natura, la soluzione non è una modificazione del repertorio comportamentale, bensì una correzione delle distorsioni cognitive.
Sacco e Beck hanno elencato le seguenti distorsioni cognitive che ricorrono come autoaffermazioni e pensieri:
  • inferenza cognitiva:trarre conclusioni senza dati o disponendo di dati contrari;

  • astrazione selettiva: focalizzarsi su un dettaglio negativo;

  • sovrageneralizzazione: trarre conclusioni generali sulla base di un singolo caso;

  • magnificazione: sovrastimare gli eventi negativi;

  • minimizzazione: sottostimare gli eventi positivi;

  • personalizzazione: uno stili attribuzionale che fa assumere la responsabilità personale ad eventi negativi;

  • pensiero dicotomico: pensiero in termini di tutto o niente.
Questi sono i principali tipi di pensiero che più incidono su una bassa autostima e che quindi possono influire negativamente sulle prestazioni. Gli atleti che sperimentano esperienze gratificanti, hanno al contrario un’ elevata fiducia accompagnata di solito da pensieri positivi.
Esaminiamo ora a grandi linee le principali modalità, utili nello sport, per affinare la capacità di autovalutazione e migliorare la propria autostima:


Il problem-solving interpersonale: ognuno di noi si trova continuamente ad affrontare dei problemi e deve decidere come risolverli. Nel problem-solving sono coinvolte le sfere emozionale, cognitiva e comportamentale. Le emozioni costituiscono spesso il primo indizio che un problema esiste e deve essere risolto; una certa stabilità emotiva, con un livello relativamente basso di ansia e tensione, è una caratteristica che in generale contraddistingue gli atleti di successo.
Le cognizioni vengono utilizzate per l’identificazione del problema. Le abilità comportamentali sono poi indispensabili per portare a termine il piano programmato. Il modello problem-solving è diviso in sette passi:

  1. Riconoscere che il problema esiste.

  2. Appena il problema è stato individuato, fermarsi e pensare. Uscire un momento dalla situazione e stabilire in che cosa consiste la difficoltà.

  3. Allorché il problema è stato identificato con chiarezza, bisogna prefiggersi un obiettivo.

  4. Pensare alle diverse soluzioni possibili.

  5. Considerare le conseguenze che probabilmente deriverebbero da ciascuna di queste soluzioni.

  6. Adesso alcune soluzioni appariranno migliori delle altre. Scegliere una soluzione o una combinazione di soluzioni, basandosi sulla facilità o difficoltà di realizzazione e sull’auspicabilità delle conseguenze.

  7. Infine, costruire una strategia per attuare la soluzione prescelta. Ogni passo dovrebbe essere pensato prima di essere attuato in quanto ogni obiettivo che si vuole raggiungere deve essere appropriato per lo sviluppo di una "abilità" o competenza particolare.

Il dialogo interno: il dialogo interno concorre in maniera significativa alla costruzione della propria immagine positiva o negativa, per questo è bene ricordare l’importanza di parlare a se stessi con autoaffermazioni positive. E' fondamentale che l'atleta impari a controllare i propri pensieri per conseguire diversi obiettivi: controllo dell'attenzione, correzione degli errori, apprendimento di abilità, elicitazione di emozioni positive , incremento della fiducia in se stessi. In un programma generale di allenamento mentale,inoltre, l'abilità a controllare e ad utilizzare in modo vantaggioso anche gli stimoli stressanti va sviluppata in sintonia con gli altri aspetti della preparazione, poiché un elevato livello di ansia (che si può manifestare sia a livello cognitivo che somatico) è nocivo per la prestazione e crea vissuti negativi di inadeguatezza e sfiducia nelle capacità personali.

Lo stile di attribuzione: un attribuzione è un processo cognitivo mediante il quale si cerca di spiegare un evento collegandolo ad una causa. Poiché facciamo attribuzioni su ogni sorta di eventi positivi e negativi, esistono molte possibili modalità attribuzionali. La regola generale per le situazioni positive è attribuirsi il merito dei propri successi, non di trovare qualche altra giustificazione. La regola generale per le situazioni negative è decidere realisticamente se è possibile correggere la situazione o impedire che si verifichi nuovamente; in caso contrario cercare di ridurre lo stato d’animo negativo.


L’autocontrollo: per mantenere l’autocontrollo in situazioni problematiche o particolarmente stressanti l’atleta può mettere in atto diverse strategie, quali: la verbalizzazione delle regole; la ristrutturazione cognitiva, così da vedere il problema di fronte cui è posto anche in altre ottiche; visualizzare l’obbiettivo che vuole raggiungere; rilassamento distensivo.

La modificazione degli standard cognitivi: degli standard troppo alti con cui affrontare le prestazioni sono controproducenti, poiché creano tensione e nervosismo, e fanno nascere il desiderio di vincere a tutti i costi, rendendo timorosi di perdere e questo influisce in senso negativo sulla prestazione. Bisogna bene avere in mente quali sono le mete che veramente si vogliono raggiungere pensando a cosa è veramente importante ottenere in quel momento valutando costi, benefici e possibilità di riuscita. L'obiettivo non potrà essere il risultato ( inteso come "vittoria"), poiché il risultato non si può allenare, mentre si può allenare la prestazione. Infatti, quando l'unico obiettivo è il risultato, qualora il risultato non venga raggiunto ( ed è ovvio che non possa sempre essere raggiunto) si avranno conseguenze negative: molto spesso c'è frustrazione, calo di motivazione, calo di autostima, ecc.. Tutti aspetti psicologici abbastanza difficili da "recuperare".
Se invece modifichiamo i nostri standard cognitivi puntando al miglioramento di tutti gli aspetti che compongono il gesto sportivo (miglioramenti chiari e verificabili: a breve, medio e lungo termine) ogni volta si avrà sicuramente un obiettivo raggiunto. Se l'atleta non vince ha comunque la possibilità di verificare che qualche miglioramento tra quelli che si era proposto è stato raggiunto, ad esempio: giocare meglio, rimanere concentrato, non perdere la fiducia, divertirsi. In questo modo motivazione ed autostima dell'atleta si alimentano da soli.

Le abilità di comunicazione:per avere una buona autovalutazione di se stessi è importante essere in grado di avere buoni rapporti comunicativi con gli altri. La capacità dei mettere in atto una comunicazione efficace si rende necessaria nell’ambito sportivo. Nel lavoro di squadra, infatti, sono spesso necessarie competenze comunicative quali: essere in grado di mostrare che si è capaci di comprendere anche punti di vista diversi dai propri, saper cooperare in attività di gruppo, saper condividere qualcosa, riuscire ad unirsi al gruppo in maniera armoniosa, poter concludere le interazioni senza conflitti, avere una buona capacità di ascolto.
Questi sei passi, atti a migliorare le proprie capacità autovalutative e migliorare la propria autostima, offrono un quadro generale su come l’importanza di un senso di chiarezza su ciò che si deve compiere e sugli eventuali problemi da affrontare, una buona capacità introspettiva ed una buona capacità di adattamento siano elementi fondamentali per andare avanti lì dove ci possono essere degli ostacoli.
Lo stato di benessere o malessere psichico nell’atleta è pertanto strettamente connesso con un buona riuscita dell’evento sportivo.
Attivare delle capacità di autovalutazione negli atleti fa si che questi ultimi siano in grado di cogliere al meglio il senso delle loro esperienze e ristrutturare, eventualmente, le attività e gli obbiettivi di lavoro in modo adeguato a promuovere delle performance migliori.

Fonte:
http://www.psymedisport.com/Articoli/Autostima%20e%20perfomance.htm

lunedì 21 maggio 2012

Allenatore: Il controllo mentale della squadra

Iniziamo l'articolo di oggi con una citazione della dottoressa M.Gerin Birsa

"Per vincere ci vogliono gambe, cuore e testa: la condizione fisica e le capacità tattiche e motorie dell'atleta sono il fondamento su cui costruire una buona performance, ma se aggiungiamo ad esse il controllo emotivo sulle situazioni ed abilità mentali sviluppate ed allenate, si pongono le condizioni necessarie per ottenere un ottimo risultato."


Una parte fondamentale è il controllo emotivo. Le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nell’attività sportiva in quanto sono esse che aiutano a dirigere e controllare la propria attivazione fisiologica e mentale. Quando l’atleta inizia a sentirsi in uno stato d’ansia, sia a livello fisiologico che mentale si instaurano delle reazioni che a lungo andare danneggiano la prestazione sportiva.
Effettuare quindi un allenamento mentale è fondamentale per incrementare le proprie capacità di adattamento, per dirigere in modo corretto la propria attivazione psicofisiologica e per reagire ai problemi riscontrati in gara in maniera ottimale e con il giusto atteggiamento di risoluzione del problema.

RAGGIUNGERE LO STATO MENTALE IDEALE
Oltre all’attivazione fisiologica (arousal) è molto importante anche l’attivazione cerebrale (stato mentale) corretta, specifica per ogni contesto e situazione di gara.
Sono infatti differenti gli stati mentali a seconda che l’atleta debba concentrarsi su una singola azione oppure debba imbastire una certa strategia di gara. Nel primo caso avremmo diversi momenti: l’atleta inizialmente si deve isolare dagli elementi di distrazione come il pubblico, poi concentrare prevalentemente verso l’interno, controllare il proprio stato di attivazione fisiologica, valutare ciò che è necessario per mettere a segno il tiro,la parata ecc ecc e programmare gli schemi motori adeguati ed eseguire l'azione mantenendo sotto controllo tutti questi elementi.
Nel caso in cui invece l’atleta deve progettare una strategia per ottenere un certo risultato viene richiesta una gerarchia di compiti differente: saper essere flessibile (creare diverse strategie e scegliere la più adeguata alla situazione), gestire i propri livelli fisiologici e di stress, gestire altri componenti della squadra (se è un gioco di squadra), non farsi influenzare da quello che avviene al di fuori del campo di gioco.
Grazie al "Neurofeedback" si riesce infatti ad ottenere proprio questo, insegnando all’atleta ad utilizzare diversi stati mentali e a saper muoversi da uno stato mentale all’altro in breve tempo.

CONTROLLO EMOTIVO NELLE SITUAZIONI STRESSANTI
Una parte fondamentale è il controllo emotivo. Le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nell’attività sportiva in quanto sono esse che aiutano a dirigere e controllare la propria attivazione fisiologica e mentale. Quando l’atleta inizia a sentirsi in uno stato d’ansia, sia a livello fisiologico che mentale si instaurano delle reazioni che a lungo andare danneggiano la prestazione sportiva. Nel periodo pre-gara (ma anche durante una gara) entra di scena il ruolo dell'allenatore. Nel pre-gara il mister dovrà caricare i suoi giocatori, far sentire tutti importanti e metterli nello stato mentale di essere consapevoli di  essere più forti dell'avversario. Nel periodo durante la gara dovrà essere bravo a non far entrare i giocatori i situazioni stressanti. Incitare i propri giocatori,spronarli,chiamare un timeout (o per rifiatare o per cambiare una strategia) sono solo alcune delle azioni da intraprendere per aiutare i propri giocatori. Nessuno meglio dell'allenatore conosce i propri giocatori.
Effettuare quindi un allenamento mentale è fondamentale per incrementare le proprie capacità di adattamento, per dirigere in modo corretto la propria attivazione psicofisiologica e per reagire ai problemi riscontrati in gara in maniera ottimale e con il giusto atteggiamento di risoluzione del problema.

venerdì 2 marzo 2012

Il capitano nei settori giovanili

Il capitano è spesso il simbolo della squadra.

L'uomo che rappresenta maggiormente una squadra e la società di appartenenza.

Non è quindi sempre il giocatore più forte, ma la fascia può essere affidata anche al giocatore più carismastico o colui che viene maggiormente indicato dai supporters come "leader".

La squadra ed in particolare la società chiedono al capitano un comportamento idoneo a rappresentarle.

Il perfetto capitano deve essere un leader con i compagni ed essere in perfetta simbiosi con l'allenatore.

Il capitano in campo deve avere l'autorità di di dialogare con il direttore di gara, deve richiamare i compagni che si stanno comportando male o stanno facendo gesti non idonei al raggiungimento dell'obiettivo comune. Inoltre il capitano deve dare il buono esempio ad i compagni non cadendo i provocazioni avversarie dimostrando di essere come prima cosa una persona seria e corretta, poi un grande atleta.


Funziona cosi anche nei settori giovanili?

Non credo.

Nei settori giovanili, si ha a che fare con ragazzi di svariate età nel periodo di crescita non solo fisica ma anche mentale.

La miglior soluzione in settori giovanili è assegnare la fascia di capitano un po a tutti i componenti del gruppo nel corso della stagione.

In questo modo TUTTI i ragazzi otterranno i seguenti benefici:

- Senso di importanza quando l'allenatore ci consegnerà la fascia

- Maggiore responsabilizzazione

- Crescita dell'auto-stima

- Maggiore senso di appartenenza ad un gruppo

- Maggiore rispetto verso l'allenatore e la società


Utilizzando questo metodo, l'allenatore riceverà spesso prestazioni migliori da i suoi componenti e riuscirà a far emergere i ragazzi più in ombra e a responsabilizzare quelli più "pazzi".

E' sempre una buona soluzione parlare prima a colui sarà affidata la fascia, tranquillizzando i ragazzi più timidi invogliandoli ad emergere, mentre si cercherà di responsabilizzare i ragazzi più indisponenti.


Quindi in categorie giovanili, utilizzate questa soluzione.

Vi porterà innumerevoli benefici.

P.M.

mercoledì 2 novembre 2011

Rilassamento e concentrazione

Prima di una grande partita o alla vigilia di un evento particolare è molto importante rilassarsi e concentrarsi in maniera adeguata per riuscire a mettere in campo una "Peak Performance" (prestazione di alto livello).

Avere uno "stress" pre-gara è molto importante affinchè questo stress sia utile e controllato.
Infatti in questo stato bisognerà preparare principalmente la mente poichè il fisico è già stato preparato adeguatamente nel corso degli allenamenti.

Quindi come si può controllare e rendere utile questo stato di stress?
Ci sono molti metodi e più che altro sono tutti soggettivi.
Analizziamoli in breve tutti quanti.
Giorni prima della gara:
1- Pensare il meno possibile alla gara - distraendosi con attività collaterali come ascoltare musica,leggere un libro oppure altri hobby volti a togliere la mente della gara per un breve periodo di relax
2- Rilassarsi con esercizi di respirazione - in momenti tranquilli della giornata (meglio prima di andare a letto). Respiri profondi in silenzio, magari anche con l'ausilio di una luce soffusa. Tutto questo per rilassare la muscolatura.
3- Esericizi di visualizzazione - da utilizzare anche durante la respirazione, immaginando l'evento in maniera positiva tramite immagini, suoni, volti di persone, urla dei tifosi ecc ecc. Pensare sempre in maniera positiva.
Giorno della gara:
1- Ascoltare musica - E' scentificamente provato che l'ascolto di musica che ci trasmette emozioni (quindi non necessariamente musica aggressiva) permette al nostro corpo il rilascio di endorfine (oppici naturali) nel nostro organismo trasmettendo una senzazione di benessere generale.
2- Sdrammatizzare l'evento - Parlando con amici o conoscenti che ci circondano. Tutto questo favorisce l'alleggerimento delle tensioni muscolari e dei pensieri negativi ed inutili
3- Ripetersi il proprio mantra - Il mantra non è altro che una parola o una frase che trasmette al nostro organismo una sensazione di forza,sicurezza e rilassamento. Ricordare alla propria mente di essere preparati ed allenati al meglio per la gara.

M.P.

venerdì 28 ottobre 2011

Il sonno e lo sport

Alcuni tecnici, specialmente a livelli professionali, richiedono ai propri atleti un attenta disciplina nella loro vita quotidiana extra sportiva. Fra queste richieste c'è anche quella del sonno. Come analizzeremo in questo articolo il sonno è una componente importantissima per il recupero fisico,annullamento dello stress quotidiano ed addirittura nella formazione muscolare. Non esiste una regola fissa per le ore esatte da dormire durante la notte, è tutto molto soggettivo. Ci sono individui ai quali bastano 5 ore di sonno altri che invece ne richiedono 9 per stare bene durante la giornata. Indicativamente per stare bene durante una giornata in tutte le funzioni corporee ad un individuo adulto viene indicato un riposo generico che va dalle 8 alle 10 ore di sonno.

I continui stimoli quotidiani, l'attività sportiva e le sollecitazioni psichiche vengono rielaborati durante il sonno, nella cosiddetta fase REM, fino a essere completamente eliminati. Anche una notte tranquilla è dunque fondamentale per riprendersi in seguito all'attività fisica, spesso una giornata senza allenarsi non è sufficiente.

Il cervello è attivo anche durante il sonno
Il sonno è il partner più indicato per l'attività fisica; le attività cerebrali caratterizzano in egual misura il sonno e la veglia. In passato si era convinti che il cervello si spegnesse durante il sonno. Nel corso del tempo si è arrivati però ad affermare con certezza che anche il sonno è uno stato comportamentale, in continua evoluzione.

Le diverse fasi del sonno
La sequenza del sonno è costituita da quattro stadi non REM seguiti da uno stadio REM. Nei primi due stadi il sonno è più leggero, mentre il terzo e il quarto vengono definiti stadi di sonno profondo. Nel corso della fase REM (Rapid Eye Movement) la pressione sanguigna e il tono muscolare calano, mentre le pulsazioni e la frequenza respiratoria aumentano.

Depurazione e rigenerazione
Il rilassamento della muscolatura comporta una dilatazione dei vasi, contribuendo così a una migliore irrorazione dei muscoli e permettendo una rapida eliminazione delle tossine che si creano durante il lavoro muscolare.

La rigenerazione muscolare è dunque garantita, l'indomani si sarà pronti ad affrontare nuove sfide sportive. Lo stadio REM inizia dopo 1 ora e mezzo di sonno e dura circa 20 minuti. Durante questa fase tutti i blocchi fisici e psicologici vengono sciolti: le tensioni muscolari si allentano, i problemi psicologici vengono risolti nei sogni. Nelle quattro fasi non REM ci si può svegliare facilmente e si continua a reagire agli influssi esterni. Durante questi stadi la memoria continua a svilupparsi, il sistema immunitario è attivo e la formazione muscolare viene favorita.

Formazione muscolare durante il sonno
Il buon funzionamento del sistema cardiovascolare e l'ipertrofia (crescita) muscolare non si verificano solamente in pista o in palestra. Come già detto, il sonno è caratterizzato da processi di adattamento, come ad esempio la distribuzione degli ormoni che favoriscono la crescita o il conseguente rafforzamento del sistema immunitario. Durante il sonno, i virus e i germi vengono letteralmente soffocati.

Ulteriori informazioni
La cura e la rigenerazione del corpo sembrano apparentemente il modo migliore per mantenersi sempre in salute. In realtà, però, i dischi intervertebrali e le cartilagini articolari non possiedono vasi sanguigni propri e vengono dunque alimentati solamente se il fisico è attivo. Per questo la cosa migliore da fare è alternare movimento e rigenerazione, sotto forma di un sonno ristoratore.

venerdì 16 settembre 2011

Dare entusiasmo

Quando si parla di allenatori spesso si trascura il loro lato psicologico dando spazio soltanto ad attitudini tecnico/tattiche.
Invece il lato psicologico è molto importante: Saper spiegare bene le cose, relazionarsi con le persone, far accettare ai giocatori il proprio modulo di gioco con dedizione ed entusiasmo, essere il loro punto di riferimento.
Con questo articolo oggi parleremo proprio di questo: "Dare entusiasmo".
Dare entusiasmo significa praticamente appassionare delle persone ad un progetto o ad una cosa. Riuscendo in questo intento vedremo una reazione positiva da parte dei nostri giocatori con l'accrescere di interesse e di disponibilità nei confronti del progetto di gioco che si vuole dare loro.
Come dare entusiasmo?
Un ambiente libero da pressioni è un ambiante dove si lavora meglio, liberare la mente dei giocatori, scherzare nei momenti giusti, rendere le sezioni di allenamento divertenti.
Non essere troppo "militari" nei comportamenti, lasciare libero il dialogo (ovviamente nel rispetto delle parti), dare delle regole comportamentali (in accordo con la società).
Non tralasciare mai la parte ludica, molto importante per creare gruppo ed affinità fra i vari giocatori.
Diventare un punto di riferimento per i giocatori, parlare spesso con chi si vede sottotono e deluso.
Un giocatore deluso si vede anche dal volto (tristezza,silenzio,poca voglia di scherzare con i compagni).
A volte il malessere può anche essere non legato a fattori sportivi ma a fattori legati alla vita sentimentale, lavoro ecc. ecc.
Per trarre il massimo da ogni atleta, l'allenatore deve spesso trasformarsi anche in "psicologo" e risolvere (o almeno cercare di farlo) questi problemi mentali.
Il giocatore apprezzerà sicuramente il vostro interesse verso il suo problema e aumenterà la stima nei vostri confronti.
I giocatori si devono divertire agli allenamenti, recenti studi hanno dimostrato che se il giocatore si divertirà agli allenamenti renderà di più durante la partita e aumenterà di conseguenza la soglia di entusiasmo nei vostri confronti e nei confronti del progetto di squadra. Creare quindi allenamenti ed esercitazioni dinamiche e divertenti.
Si possono creare allenamenti divertenti ma faticosi allo stesso tempo. Ricordiamoci che se una cosa è divertente la soglia della fatica non si farà sentire durante l'attività ai giocatori.
Coinvolgere tutti i giocatori anche quelli meno bravi, far sentire tutti importanti.
Anche durante le partite a coloro che sono in panchina, farli sentire partecipi della gara con consigli e incoraggiamenti.
Nei settori giovanili questa cosa dovrà essere ancora più accentuata, far giocare tutti i componenti anche quelli più scarsi, non è fondamentale a questi livelli il solo risultato finale ma anche la crescita dei ragazzi.
In caso ci sia un ragazzo giovane e meritevole, non esitare a farlo giocare anche con i grandi, con le giuste precauzioni,parlandoci spesso ed inserendolo gradualmente lo si aiuterà nell'aggregazione al gruppo.
Se l'allenatore non riuscirà a dare entusiasmo ad un gruppo di giocatori, arriveranno prima o poi molti problemi come disattenzione o malessere agli allenamenti, incomprensioni con persone singole o gruppi di persone (con conseguente rottura all'interno dello spogliatoio).
Nei casi più gravi la mancanza di entusiasmo si riverserà nelle partite dove i giocatori non daranno mai il 100% per il loro allenatore.
In questi casi i giocatori non dando il massimo probabilmente perderanno le partite (ma non perchè gli piace perdere e per addossare colpe all'allenatore, quest'ultima opzione è abbastanza diabolica) ma sarà un loro segnale diretto verso il tecnico che alcuni aspetti da lui utilizzati non funzionano. Difficile recuperare la situazione quando si è a questi livelli, perchè in questo caso spesso non c'è da recuperare il rapporto di stima con un giocatore soltanto, ma qua si parla di un gruppo di giocatori che hanno ben manifestato il loro disappunto nei confronti del tecnico.
Quindi questo articolo che giunge alla conclusione propone delle linee guida per ogni allenatore per dare entusiasmo ad i propri giocatori e diventare il loro leader.

P.M.

mercoledì 31 agosto 2011

Consigli per la preparazione atletica

La preparazione atletica pre-campionato è un periodo sicuramente duro per qualsiasi tipo di atleta, con questo articolo cerchiamo di dare degli accorgimenti utili per rendere questo periodo migliore per l'atleta favorendone la crescita sportiva e fisica cercando di limitare lo stress ed altri fattori negativi.

In caso di atleti amatoriali, l'eccessiva durezza della preparazione può portare ad un livello di stress che può ripercuotersi anche in altre situazioni della vita reale come lavoro e famiglia.
Lo stress può essere fisico e/o mentale non sottovalutiamo questi aspetti, cerchiamo di capire i nostri giocatori in base anche al lavoro che eseguono nella quotidianità e alla loro situazione familiare. Non iniziamo la preparazione in orari troppo tardi, l'atleta con famiglia potrebbe risentirne, cosi come l'atleta che abita più distante dalla sede dove eseguiamo la preparazione.
Sono tutte piccolezze che però possono creare degli stress agli atleti compromettendone la corretta crescita sportiva e fisica in questo periodo. Cercare quindi di accontentare tutti sul discorso degli orari di ritrovo ed inizio della seduta di allenamento.
Le esercitazioni devono essere intense, ma brevi, gli esercizi devono essere fatti bene (altrimenti non ha senso farli). Inutile proporre agli atleti lunghe serie sempre uguali di un esercizio, dopo un paio di minuti la stanchezza si farà sentire facendo calare la buona esecuzione tecnica dell'esercizio e anche la soglia di concentramento dell'atleta su quello che sta facendo. Quindi esercizi brevi ed intensi, variare sempre le esercitazioni fornendo stimoli nuovi all'atleta. In caso sia abbiano a disposizioni molti giocatori si può dividerli anche in più gruppi fornendo loro lavori diversi, intervallati da delle pause per riposare.
Parlare sempre con i giocatori, cercare di capire se qualcosa non va, accettare a volte anche i loro consigli e le loro proposte. La parte ludica è molto importante, non dimenticarla mai, principalmente bisogna divertirsi, quindi non abolire partitelle o esercizi di squadra con obiettivi di competitività.
In caso si disponga di un massaggiatore o di un preparatore atletico qualificato non sottovalutare eventuali problemi muscolari esposti da alcuni atleti. Non tutti gli individui sono uguali quindi non si esclude che alcuni atleti necessitino di un lavoro leggermente differenziato rispetto ad altri.

In caso di atleta professionista invece il discorso cambia leggermente.
Qua ci sono in ballo degli obiettivi societari, quindi in questo caso l'atleta lo fa per lavoro.
Stipulare un programma con delle regole precise su orari di ritrovo ed inizio delle sedute di allenamento. Rimangono sempre validi i consigli sulle esercitazioni brevi ed intense (per tenere alto il levello tecnico d'esecuzione e la concentrazione) ed una parte ludica che dovrà avere in questo caso la valenza di creare ed amalgamare il gruppo per il raggiungimento degli obiettivi proposti dalla società (obiettivo primario ed assoluto).
Essendo un lavoro tutte le attenzioni fisiche dell'atleta dovranno essere concentrate nella fase di preparazione.
Sicuramente l'atleta professionista è più abituato a sopportare lo stress di una preparazione professionale che è molto diversa da una preparazione standard per gli atleti amatoriali.
Grazie all'aiuto dello staff medico a disposizione valutare ogni singolo atleta nello specifico per creare un programma di lavoro idoneo per ognuno di loro, o al massimo creare dei gruppi con atleti delle stesse caratteristiche/costituzione atletica.

P.M.

mercoledì 22 giugno 2011

La società e l'allenatore

Quando l’allenatore viene chiamato dalla dirigenze a guidare una nuova compagine deve pianificare con puntiglio e meticolosità quelli che sono i passaggi chiave per riuscire in tempi ragionevoli a “dare un gioco” alla propria squadra.
Nell’ottica di conseguire questo obiettivo le analisi e le considerazioni che l’allenatore deve fare a monte riguardano:
1) La “storia” della squadra che ci si appresta ad allenare.
2) Il contesto (struttura, materiali, tempo ecc.) in cui si trova ad operare.
3) Le peculiarità (numeriche, per ruolo, per qualità, per mentalità) dell’intera
rosa a disposizione.
4) Le caratteristiche dei giocatori a disposizione.

Dopo che l’allenatore avrà definito in modo chiaro sia le strutture che il materiale umano a disposizione, e di comune accordo con la società avrà stabilito gli obiettivi del campionato, sarà indispensabile passare alla fase operativa con l’obiettivo di:
1) scegliere (ed organizzare) il modulo di gioco ritenuto più opportuno.
2) determinare gli sviluppi offensivi e difensivi ideali in considerazione delle caratteristiche dei giocatori a disposizione.

L’analisi delle caratteristiche dei giocatori.

Prima di qualsiasi altra operazione legata all’organizzazione del sistema di gioco, è a mio avviso fondamentale che l’allenatore sappia ben individuare quelle che sono le caratteristiche tattiche, tecniche, fisiche e motivazionali dei giocatori che compongono la rosa.
Solo una corretta valutazione delle peculiarità dei singoli consente infatti una stesura ottimale del progetto tattico collettivo.
Se per le componenti fisiche è possibile avvalersi di Test specifici che permettano di determinare i parametri di forza, resistenza e velocità dei singoli, per quel che concerne le caratteristiche tecnico-tattiche è fondamentale far eseguire specifiche esercitazioni da cui occorre ricavare il maggior numero di informazioni possibili.
Punti importanti per capire la capacità dei giocatori da cui possono derivare esercitazioni specifiche:
Valutare la capacità del collettivo in fase difensiva e offensiva
Valutare la capacità dei difensori nell’1 contro 1
Valutare la capacità degli attaccanti nell’1 contro 1
La didattica individuale dei principi di uscita a pressione su palla consolidata o intercettata
La didattica collettiva su movimenti da palla inattiva (schemi corner,schemi calcio di punizione ecc ecc)


Massimo Lucchesi & TIF

lunedì 9 maggio 2011

Il preparatore nel settore giovanile (parte 2)

Andiamo a completare l'articolo di qualche giorno fà con la seconda ed ultima parte.
Riprendiamo quindi "Il preparatore nel settore giovanile"

3) Migliorare le capacità condizionali dei giovani calciatori

L’allenamento condizionale dei giovani è un argomento estremamente delicato in quanto, al contrario di quello tecnico-coordinativo, non riguarda le capacità di controllo e regolazione del movimento, ma coinvolge aspetti energetici e funzionali. 
Spesso i giovani calciatori sono seguiti, nel loro sviluppo, da allenatori con scarsa esperienza e privi delle necessarie competenze e nozioni in materia di fisiologia dello sviluppo. In realtà, l’allenamento giovanile richiede una attenzione ancora più grande di quella necessaria per allenare atleti evoluti, in quanto si ha a che fare con soggetti in fase di accrescimento e quindi particolarmente vulnerabili. 
Un corretto allenamento condizionale pone le basi per un successivo sviluppo ottimale delle capacità atletiche, oggi indispensabili per competere ad alto livello. Al contrario, se non si tiene conto delle caratteristiche particolari di ogni ragazzo e si propongono sollecitazioni non fisiologiche per l’età e il grado di sviluppo, si rischia di arrecare seri danni o, nella migliore delle ipotesi, di perdere tempo prezioso in infortuni e problemi fisici, magari nell’assurdo tentativo di sviluppare una capacità che si sarebbe potuta allenare con maggiore efficacia due anni dopo!


In particolare, si propone di procedere come segue:


3a) Analizzare lo stato di sviluppo individuale di ogni singolo giocatore per rendere possibile un’azione positiva sull’organismo e per evitare sollecitazioni e carichi sbagliati

.
Come:
 - sottoporre, quando è disponibile un medico societario, i giovani calciatori a visita auxologica almeno una volta l’anno (ad inizio stagione) per verificarne lo stato di sviluppo e accrescimento;


- rilevare i principali parametri antropometrici (peso e altezza) almeno tre volte nel corso della stagione;


- sensibilizzare le famiglie affinchè il giovane calciatore sia sottoposto a visita endocrinologica qual’ora si riscontrassero significative anomalie nello sviluppo del ragazzo.


- Ancora una volta, avere pazienza!!! Il processo di maturazione fisica e di acquisizione delle capacità atletiche è un processo che dura molti anni e che è in funzione anche del talento del giovane calciatore (componente genetica della capacità di carico). Un buon allenatore deve saper attendere l’età ed il grado di sviluppo più adatti per l’allenamento delle varie capacità.

4)"Contribuire a educare il ragazzo ad abitudini e comportamenti sani e compatibili con la pratica sportiva agonistica, nonchè al lavoro quotidiano anche fuori del campo"

Allenatore e preparatore sono figure generalmente molto considerate e ascoltate dai ragazzi anche in fase adolescenziale: devono perciò far comprendere al ragazzo che per ottenere risultati nello sport è indispensabile “fare vita da atleta”.

Pochi allenatori, purtroppo, insegnano i comportamenti corretti da tenersi durante l’allenamento, come riscaldarsi bene prima di effettuare gesti con la palla, utilizzare le attrezzature da campo e quelle personali in modo appropriato, idratarsi ecc. ecc.
In particolare occorre:


4a) Sensibilizzare il giovane calciatore sull’importanza di allenarsi quotidianamente anche fuori del campo


Come:
 - fornire al giovane calciatore una scheda di lavoro da eseguire a casa. Tale scheda deve essere individualizzata sulla base delle caratteristiche e delle carenze del soggetto e comprendere soprattutto esercizi di posture, stretching e tonificazione che, per ragioni di tempo o logistiche, è difficile eseguire con regolarità al campo. 

Le esercitazioni di forza riguardano esclusivamente esercizi compensativi per i muscoli che nel calciatore tendono a indebolirsi, quali ad esempio gli addominali e gli adduttori: si tratta, dunque, di un lavoro preventivo. 
Gli esercizi devono essere conosciuti e sufficientemente padroneggiati, per cui vanno mostrati e provati diverse volte prima di chiedere ai ragazzi di svolgerli autonomamente a casa. 

Per mostrare gli esercizi, pochi, semplici ed efficaci, si sfrutta il periodo di inizio stagione, quando i ragazzi sono liberi da impegni scolastici e ci si può allenare anche due volte al giorno: in questo modo, si riesce a fare tutto senza sacrificare il lavoro tecnico e limitare l’utilizzo della palla. Successivamente, durante la stagione, con il diminuire delle sedute di allenamento, ogni 15 giorni circa verifico la correttezza esecutiva degli esercizi in allenamento. Si propone questo tipo di lavoro anche ad atleti molto giovani (purchè il tipo di esercitazioni sia idoneo per il grado di sviluppo stesso).


- Educare allo spirito di sacrificio, facendo comprendere ai giovani calciatori che per raggiungere risultati importanti nello sport occorrono, oltre a capacità e talento, allenamento e rinunce. L’allenatore potrà raccontare le proprie esperienze personali, utilizzare filmati di allenamenti di atleti di elevato livello etc.


- Sottoporre i giovani calciatori a test atletici almeno due volte l’anno (inizio e fine stagione) per mostrare loro i progressi conseguenti al lavoro proposto.


4b) Educare il giovane calciatore a comportamenti corretti e funzionali alla vita da atleta


Come:
 - dialogare con i ragazzi sull’importanza di una corretta alimentazione e idratazione prima, dopo e durante gli allenamenti;


- coinvolgere la famiglia, chiedendo ai genitori di essere coerenti di fronte alla richiesta della società di rispettare le regole;


- spiegare che occorre riscaldarsi in modo adeguato prima di cominciare l’attività: in particolare, evitare di effettuare tiri in porta o esercizi simili appena arrivati al campo;


-far comprendere l’importanza di un adeguato riposo per riuscire a rendere al meglio in allenamento ed in partita;


- concordare insieme ai ragazzi le regole di comportamento da tenere durante le attività della società e i relativi provvedimenti in caso di mancato rispetto delle regole stesse (ordine nello spogliatoio, cura del corredo e delle attrezzature, avviso in caso di assenza dagli allenamenti, rendimento scolastico etc.)



4c) Informare e educare i giovani calciatori sulle conseguenze dell’utilizzo di alcol, fumo e droghe


Come: 
- confrontarsi con i ragazzi cercando di capire quali sono le loro conoscenze e convinzioni in materia di utilizzo di alcol e droghe;


- organizzare momenti d’incontro con esperti sull’argomento, coinvolgendo anche i genitori.
- Avere i contatti dei genitori ed informarli in caso di presa in visione di atteggiamenti sbagliati (fumo,uso di alcol o droghe)

Considerazioni finali:
Questo articolo pubblicato in due parti è puramente a scopo informativo e fornisce una validissima base sulla quale fondare l'insegnamento sportivo a giovani atleti ancora in fase di sviluppo. Come già detto più volte, avere a che fare con giovani atleti è molto più difficile e complesso di avere a che fare con persone adulte già formate a livello fisico.
Lavorare male con un giovane può compromettere il suo sviluppo fisico e mentale.
Quindi ogni società dovrebbe avvalersi di istruttori qualificati per il settore giovanile e mettere a loro disposizione, risorse e mezzi per una buona crescita dei ragazzi.

mercoledì 4 maggio 2011

Il preparatore nel settore giovanile (parte 1)

Il ruolo del preparatore atletico nei settori giovanili è tutt’oggi oggetto di fervente dibattito e, a volte, aspre polemiche. 

E’ opinione piuttosto comune che la figura del preparatore nei settori giovanili sia inutile quando non addirittura deleteria. 
Spesso si pensa al preparatore atletico come a quella persona che fa correre i ragazzini attorno al campo, fa eseguire piegamenti e, nel migliore dei casi, organizza il percorsino coordinativo copiandolo da un libro. 
Per molti allenatori e dirigenti il preparatore atletico è il nemico numero uno per un giovane atleta, colui che vorrebbe sostituire l’allenamento della tecnica con una bella serie esercizi.


Se così realmente fosse, questi signori avrebbero tutte le ragioni del mondo a tenere lontani questi "loschi" e "pericolosi" figuri dal campo dove si allenano i bambini. In alcuni casi, questa convinzione è stata alimentata dall’operato di alcuni colleghi con scarse conoscenze e ancor meno scrupoli, che lavorano con i ragazzini alla stregua di come lavorerebbero con gli atleti adulti, limitandosi a diminuire le serie e le ripetizioni. 

Altre volte, però, tali pregiudizi sono fondati unicamente sull’ignoranza o sulla paura di provare nuove soluzioni.
Ancora più dannosi sono quelle società e quegli allenatori che ragionano in maniera diametralmente opposta: essi lavorano in quei campi dove si persegue la logica del risultato ad ogni costo ed il prima possibile perchè “se uno è un giocatore lo si vede già a 12-13 anni” (!!!). Ed ecco vedere ragazzini di 13-14 anni senza sorriso (perchè se a un bambino piaceva correre senza la palla forse andava a fare atletica!) impegnati in interminabili giri di campo, balzi sugli ostacoli ed esercizi a volte inutili, ma più spesso persino dannosi. 
Il risultato di tutto ciò? Escludendo le pochissime realtà in cui lavorano persone capaci e alcuni settori giovanili di elevatissimo livello, ci ritroviamo ad allenare ragazzini di 12-14 anni scoordinati, con un bagaglio motorio molto povero, qualitativamente approssimativo e poco adattabile. 
Quante volte ci è capitato di osservare un ragazzino che non ha mai eseguito una capovolta, che non sa staccare correttamente utilizzando indifferentemente il piede destro e quello sinistro, incapace di coordinare il movimento di arti superiori ed inferiori?

Per non parlare della corsa, la cui tecnica è spesso affetta da errori macroscopici e incapace di adattarsi alle variazioni di frequenza e ampiezza richiesti dalle situazioni di gioco. 
L’esecuzione di un cambio di senso o di direzione non dico buona, ma accettabile, rappresenta il più delle volte un miraggio: che nostalgia pensando a quando, da piccoli, si giocava a rincorrersi e ad evitarsi e si imparavano questi “gesti tecnici” senza nemmeno sapere che fossero tali!
Ma forse ancora maggiore tristezza la si prova osservando nel complesso le qualità fisiche dei nostri ragazzi: quasi il 30% di loro sono sovrappeso o obesi, ma questo non dipende certo da noi tecnici. 
In una percentuale ancora maggiore, soprattutto verso i 12-13 anni, i giovani calciatori mostrano una mobilità articolare ed una flessibilità muscolare del tutto insufficienti per praticare uno sport: Quasi tutti presentano una rigidità della catena cinetica posteriore (rachide e muscoli posteriori degli arti inferiori) che comporta una cattiva esecuzione dei gesti tecnici e, in molti casi, prelude ad una serie di fastidi e infortuni che impediscono ai ragazzi di allenarsi e disputare le partite.

In questo articolo (parte 1) sono state elaborate una serie di osservazioni e proposte a livello generale che non rappresentano altro una visione delle cose, sperando che possano essere utili a far comprendere la reale natura degli obiettivi da perseguire in queste fasce d’età.
Obiettivi generali

Ho riassunto gli obiettivi della preparazione giovanile in quattro punti principali in questo articolo vengo analizzati i primi due, nei prossimi giorni verrà pubblicata la seconda parte relativa ad i punti 3 e 4:

1- INCREMENTARE IL BAGAGLIO MOTORIO DEL GIOVANE CALCIATORE E MIGLIORARNE LA QUALITÀ COMPLESSIVA DEI MOVIMENTI (COORDINAZIONE MOTORIA)

2- ASSICURARE A CIASCUN GIOVANE CALCIATORE UNO SVILUPPO SANO ED ARMONICO DEL PROPRIO FISICO, CON L’OBIETTIVO FINALE DI PORTARE TUTTI GLI ASPETTI DELLA CAPACITÀ DI CARICO SPORTIVO AL LIVELLO PIÙ ELEVATO POSSIBILE
3- MIGLIORARE LE CAPACITÀ CONDIZIONALI DEI GIOVANI CALCIATORI

4- CONTRIBUIRE A EDUCARE IL RAGAZZO AD ABITUDINI E COMPORTAMENTI SANI E COMPATIBILI CON LA PRATICA SPORTIVA AGONISTICA, NONCHÈ AL LAVORO QUOTIDIANO ANCHE FUORI DEL CAMPO

1) "I principi per lo sviluppo degli obiettivi generali"

Entriamo ora un pò più nello specifico, sviluppando ciascun obiettivo generale in modo più dettagliato. Cominciamo dal primo, cioé:

1) “INCREMENTARE IL BAGAGLIO MOTORIO DEL GIOVANE CALCIATORE E MIGLIORARE LA QUALITÀ COMPLESSIVA DEI SUOI 
MOVIMENTI (COORDINAZIONE MOTORIA)”

Per raggiungere questo importante obiettivo occorre, a mio avviso, operare come segue:

1a) consolidare lo schema corporeo del bambino (fino a 6-8 anni)

Come:
- proporre giochi che permettano al bambino di scoprire e utilizzare tutte le parti del corpo, imparare a riconoscerle e dar loro un nome (con i bambini più piccoli). Verificare lo stato di padroneggiamento del concetto di lateralità ed eventualmente proporre giochi ed esercizi idonei per il suo consolidamento.

1b) migliorare tutti gli schemi motori di base (camminare, correre, lanciare, saltare, rotolare, arrampicare...; dai 6 ai 10-11 anni)

Come:
- proporre giochi ed esercitazioni di carattere generale, con o senza l’utilizzo di piccoli e grandi attrezzi. Trovare il giusto equilibrio tra la variabilità delle proposte e la necessità di consolidare gli schemi: occorre cioé evitare di cambiare tipologia di esercitazioni in tutte le sedute; la ripetizione del gesto è ancora la tecnica più efficace per il suo apprendimento!

1c) incrementare il bagaglio motorio del bambino (aspetto quantitativo e conoscitivo del movimento, dai 6 ai 10-11 anni)

Come:
- proporre giochi ed esercizi prendendo spunto anche da discipline diverse dal calcio a 5.

1d) migliorare la coordinazione generale dei movimenti curando la precisione degli stessi anche a scapito della velocità esecutiva

Come:
-tenere presente quanto enunciato nei punti precedenti. Curare la qualità del movimento anche a scapito della velocità esecutiva.

NOTA: la velocità esecutiva dei movimenti deve essere una capacità da ricercare il più presto possibile, ma mai a scapito della precisione del gesto. Se il livello di qualificazione lo consente, si possono proporre semplici esercitazioni richiedendo ai bambini la velocità esecutiva più elevata che gli consente di eseguire il gesto in forma corretta ed efficace.

1e) migliorare le capacità coordinative specifiche del gioco calcio a 5 (pre-requisiti, andature e movimenti specifici...; dai 10-11 anni in poi, ma anche prima se il livello di abilità lo consente)


Come:
- Con l'avanzare dell'età il lavoro coordinativo diviene più specifico e si integra maggiormente con il lavoro tecnico. Le esercitazioni di carattere generale continuano a essere presenti nel programma di lavoro, ma assumono maggiore importanza quelle a carattere specifico.


NOTA: le esercitazioni a carattere specifico non vanno confuse con quelle a carattere speciale, da proporre in una fase successiva. Si intende, con il termine “specifico”, la proposizione di esercizi che insistano in modo particolare sullo sviluppo delle capacità maggiormente coinvolte nel gioco del calcio (ritmizzazione, differenziazione, destrezza, equilibrio...), cioè sullo sviluppo dei pre-requisiti.

- Dai 13 ai 16 anni, le esercitazioni coordinative assumono un carattere ancora più specialistico, che definiamo con il termine di “esercitazioni speciali”. Il lavoro è indirizzato nel senso della cura dei movimenti tipici della disciplina. Secondo il livello di qualificazione, si può cominciare un lavoro individualizzato per ruoli, che rimane comunque una prerogativa della fascia d'età successiva.
2) "Assicurare a ciascun giovane calciatore uno sviluppo sano e armonico del proprio corpo"

Il miglior investimento per qualsiasi società sportiva, specie se professionistica, è quello di avere a disposizione giocatori sani che possano allenarsi e giocare con continuità, riducendo al minimo gli infortuni e i problemi fisici. 
L’età infantile e l’adolescenza devono essere sfruttate per portare tutti gli aspetti della capacità di carico del giovane calciatore ad un livello elevato: così facendo, quando sarà il momento di sottoporre il ragazzo ad un allenamento condizionale di alto livello, il suo organismo sarà in grado di sopportare carichi relativamente elevati senza problemi, raccogliendo i frutti del lavoro degli anni precedenti.

L’obiettivo generale dell’allenamento fisico giovanile dovrà essere dunque quello di costruire i pre-requisiti fisici che possano garantire all’organismo del giovane calciatore, al termine dello sviluppo, un grado elevato di capacità di carico.
Un grado elevato di capacità di carico significa che possono essere tollerate senza problemi anche notevoli richieste di sforzo.
In particolare, una corretta preparazione fisica in un settore giovanile deve perseguire i seguenti obiettivi specifici:

2a) Limitare l’insorgenza degli squilibri muscolari derivanti dalla pratica agonistica del calcio

Come:
-proporre esercizi di ginnastica funzionale compensativa a carico naturale che rinforzino i gruppi muscolari che tendono ad indebolirsi e allunghino quelli con tendenza all’accorciamento (vedi anche obiettivo 2b)

2b) Evitare l’insorgenza di eccessive retrazioni e accorciamenti muscolari.

Come: 
-proporre regolarmente esercizi di mobilità articolare, ginnastica e allungamento già a partire da età giovanissime sotto forma di gioco.
E’ bene subito precisare, per evitare di incorrere in malintesi, che l’allenamento della flessibilità con i bambini più piccoli ha un carattere completamente diverso da quello delle fasce d’età successive. 
Si tratta di proporre giochi e esercitazioni in forma ludica che interessino il corpo nella sua totalità e non esercizi di stretching e mobilità scopiazzati dallo sport dei grandi.
Ricordiamoci che la mobilità articolare è l’unica capacità a non necessitare di un allenamento per essere migliorata: è sufficiente mantenerne un pò di quella che abbiamo già, visto che alla nascita siamo tutti iperflessibili!

- Proporre esercizi posturali a quei giocatori che manifestano eccessivi accorciamenti e retrazioni della muscolatura. Insegniamo ai nostri ragazzi a respirare correttamente mostrando loro alcuni semplici esercizi di ginnastica respiratoria.


2c) Minimizzare il rischio di infortuni e problemi fisici che comportino
l’assenza da allenamenti e partite


Come:
- prestare particolare attenzione all’entità complessiva dei carichi proposti durante le sedute di allenamento. Per far ciò, occorre un’attenta programmazione e determinazione della tipologia, del volume, dell’intensità e della densità del carico, tenendo in considerazione non solo le esercitazioni atletiche, ma anche quelle tecniche. Evitare l’improvvisazione!

- Tenere sempre in considerazione, nella determinazione del carico di lavoro, l’età biologica e non l’età cronologica o il livello di prestazione del giovane calciatore. 
Per far ciò, è utile conoscere l’età biologica di ciascun calciatore attraverso l’analisi di alcuni parametri: questa analisi deve essere svolta in collaborazione con il medico della società. In alternativa, utilizzare il vecchio e caro buon senso e stare sempre dalla parte del sicuro, ricordando che è in gioco la salute dei ragazzi!

- Conoscere ed evitare di proporre gli esercizi pericolosi e non adatti all’età e al grado di sviluppo dei giovani calciatori. 


- Utilizzare in modo corretto i mezzi di allenamento e conoscere le conseguenze fisiologiche delle esercitazioni che si propongono. 
Ad esempio, certe esercitazioni di balzi, pur non prevedendo l’uso di sovraccarichi, sono riservati ad atleti evoluti e non a ragazzini il cui apparato muscolo-tendineo è in fase di sviluppo.

- Avere pazienza!!! Il processo di maturazione fisica e di acquisizione delle capacità atletiche è un processo che dura molti anni e che è in funzione anche del talento del giovane calciatore (componente genetica della capacità di carico). Un buon allenatore deve saper attendere l’età ed il grado di sviluppo più adatti per l’allenamento delle varie capacità.


- Educare i giovani atleti ad abitudini di vita sane e corrette.


2d) Assicurare il mantenimento di un livello ottimale di mobilità articolare, soprattutto a livello delle articolazioni direttamente coinvolte nell’esecuzione dei gesti tecnici


Come:
- Proporre esercizi di mobilità articolare e di allungamento per mantenere la capacità di mobilità articolare su livelli compatibili con la pratica agonistica di una disciplina sportiva (vedi anche obiettivo 2b).

Una buona mobilità articolare, oltre che garantire una minore frequenza di infortuni, è indispensabile per la corretta esecuzione di molti gesti tecnici (finte, esercizi di dominio del pallone...).

Il suo allenamento andrebbe considerato come “allenamento di complemento della tecnica”, così come avviene in quelle discipline, come la ginnastica, dove è addirittura oggetto di valutazione per la determinazione del punteggio.

venerdì 1 aprile 2011

Allenamento mentale

La preparazione sportiva si compone della preparazione tecnica, dell'allenamento fisico e del training psicologico.
Per migliorare una prestazione è possibile aumentare la qualità o la quantità dell'allenamento fisico, ma non sottovalutiamo mai l'allenamento mentale.

Tutti noi sappiamo quanto il corpo sia capace di influire sulla mente,quello che spesso si ignora è quanto la mente possa influire sul corpo e quanto questo sia importante nel raggiungimento della prestazione eccellente.
Trovare il giusto livello di concentrazione prima o durante la gara, resistere allo sforzo ed accedere alle proprie energie nel momento decisivo e credere nelle proprie capacità fanno la differenza tra un atleta capace di vincere e chi arriva dietro di lui.
Le potenzialità possono essere espresse completamente solo attraverso la vera unione tra corpo e mente, un controllo totale ed una motivazione interiore di livello superiore.
Spesso ad alti livelli ci sono figure professionali all'interno di una squadra che stimolano l'allenamento mentale sia del tecnico che dei giocatori ma questa mansione può essere intrapresa anche da un tecnico di buona levatura caratteriale.
L'obiettivo è quello di stimolare l’esercizio introspettivo in modo che lo si scopra i propri pregi e difetti, aiutando così una visione più realistica di sé e ponendo le basi per l’analisi delle proprie credenze e dei propri valori.
Rafforzare la propria autostima, trasformare definitivamente il proprio pensiero in pensiero positivo, frutto della consapevolezza di sé, delle proprie credenze e potenzialità:
Tecnico e giocatore sono due persone che collaborano per raggiungere un risultato comune.

Il successo fa paura: per raggiungerlo bisogna superare alcune paure irrazionali che spesso ci impediscono di rendere al meglio e che spesso si manifestano in alibi. Una volta raggiunto è necessario superare un sentimento di inferiorità derivante dalla incertezza del poterlo ripetere ed è per questo che spesso gli atleti si mettono i bastoni tra le ruote, operando dei veri e propri autosabotaggi “inconsci”. Superare queste limitazioni vuol dire liberare il vero potenziale individuale ed esprimersi finalmente nella piena accettazione dei propri limiti e delle proprie capacità.

Fissare i propri obiettivi (Goal Setting) è un processo fondamentale nello sviluppo personale e sportivo. Possiamo definire un obiettivo in campo sportivo come uno specifico rendimento che si vuole raggiungere in un certo periodo di tempo. Quando si ha un obiettivo chiaro e concreto ci si può concentrare su di esso con tutte le proprie risorse focalizzando la propria attenzione, traendone energia, rafforzando la propria volontà di andare avanti e la fiducia in sé stessi; Se non si ha una meta ben precisa si rischia di disperdere energia… si può infatti raggiungere un traguardo che non si conosce?

Gli obiettivi ottimali devono possedere delle caratteristiche ben precise:
• essere espressi in modo preciso e con termini positivi;
• essere espressi in termini qualitativi e quantitativi;
• essere tempificati;
• essere orientati alla prestazione e non al risultato;
• essere commisurati alle proprie capacità, raggiungibili;
• il loro raggiungimento deve essere costantemente verificabile;
• essere personali e compatibili con i propri valori.

Con i propri obiettivi, espressi in modo corretto, in mente è possibile concentrare le energie per il loro raggiungimento ed accettare gli errori e gli insuccessi come tappe fondamentali per il raggiungimento del successo cercato. Accettare i propri errori è indispensabile per raggiungere un’autostima vera, basata sull’autocoscienza piuttosto che sulla illusione di essere perfetti: non sempre vincere vuol dire arrivare primi.

lunedì 28 marzo 2011

Junior: Il tecnico e l'allenatore dei portieri

IL RUOLO DEL TECNICO
Facendo seguito a quanto accennato negli articoli precedenti il compito dell'allenatore risulta quindi quello di progettare piani e programmi didattici identificando obbiettivi e finalità tecniche ed educative da realizzare nel breve, medio e lungo periodo. Un "disegno" strategico così ampio e soprattutto proiettato nel tempo, dato che con i piccoli occorre spostare l'accento più verso il processo formativo più lungo ovviamente rispetto a risultati immediati compreso quello della gara, non può prescindere però dalla strutturazione della seduta di allenamento. Le unità di allenamento o lezioni di calcio a 5 se ci riferiamo ai più piccoli devono contenere tutta la cultura specifica che riguarda i giovani calciatori e che abbiamo accennato precedentemente. Gli esercizi scelti devono rappresentare e far riferimento al modello specifico di prestazione del calcio a 5, all'età di riferimento, ed ai fattori intrinseci alla prestazione. In questo modo, volendo rammentare tutte le possibilità da utilizzare, nella sedute dovrebbero essere contenute proposte didattiche che riguardano:
1. Tecnica di base ed applicata
2. Tattica individuale
3. Tattica di squadra
4. Qualità fisico-motorie

Lo sviluppo di queste "aree" dovrà avvenire attraverso l'utilizzo di:
1. Esercizi con e senza palla
2. Situazioni di gioco
3. Possessi palla
4. Giochi a tema
5. Partita


LA PREPARAZIONE DEL PORTIERE
Infine il portiere, che pur essendo il numero 1, il vero regista difensivo, viene trattato nelle dissertazioni tipo la nostra, per ultimo come se non facesse parte del contesto di gioco. In effetti qualche differenza va sottolineata sotto gran parte degli aspetti che compongono la prestazione. Infatti la possibilità di utilizzare le mani e compiere gestualità con diversi modelli coordinativi come il volo o le soluzioni acrobatiche, i tuffi etc, lo differenziano dagli altri compagni di campo. Di fatto però negli ultimi anni al portiere sono state modificate alcune regole di gioco che ne hanno condizionato il comportamento tecnico-tattico. Una di questa, quella del retro passaggio, ha reso necessario che anche il portiere divenisse abile a giocare con i piedi e questo ha di conseguenza condizionato i programmi di insegnamento-allenamento. Anche per il portiere quindi strumenti importanti di lavoro dovranno essere le forme di gioco-divertimento per far acquisire i gesti fondamentali specifici, e successivamente le situazioni di gioco man mano che il piccolo si svilupperà per poter esperire in condizioni più vicine e specifiche le realtà della partita.

venerdì 18 marzo 2011

Junior: Il giusto allenamento per ogni età

Apriamo una nuova sezione denominata JUNIOR, nella quale andremo ad analizzare di volta in volta i vari aspetti legati all'apprendimento del calcio a 5 in età giovanile.
Iniziamo quest'oggi con mettere le basi, andando a visionare le varie fasce d'età, le loro capacità e necessità. Seguiranno nuovi aggiornamenti per approfondire esercitazioni,tecnica/tattica individuale o di squadra e psicologia.


Quando si parla di sport giovanile in generale occorre rammentare che all'interno di questo lungo periodo cosiddetto evolutivo devono essere contemplate almeno tre grandi fasi dello sviluppo che comportano una serie di modificazioni che investono svariati ambiti di crescita.
Dai cinque agli otto anni si il bambino si trova in una fase ancora infantile che si caratterizza da una attenzione limitata e da un egocentrismo spiccato che tende a far prevalere un controllo dei movimenti soprattutto di tipo senso motorio. Infatti i bambini vorrebbero avere sempre loro la palla ed essere al centro dell'attenzione. Il comportamento motorio risulta irrazionale ed a volte disordinato soprattutto nei più piccoli e la didattica deve prevedere regole semplici. L'organizzazione spazio temporale, che rappresenta la matrice statico dinamica su cui si articolano posture e movimenti in questa fase fa riferimento prevalentemente al proprio vissuto e difficilmente costruisce il proprio agire per mezzo di operazioni mentali.
Dai nove ai dodici anni migliora decisamente la relazione con il gruppo ed il periodo è estremamente favorevole all'apprendimento delle abilità tecniche. Il controllo del movimento diviene più organizzato e comincia a strutturarsi la capacità di autocritica ed il pensiero creativo. Anche l'attenzione dei particolari man mano acquista un significato più semantico e si orienta anche verso situazioni ed azioni di gioco distanti dal proprio corpo. Questa è la fase infatti che dai giochi di gruppo si passa alla idea di squadra anche se con meno giocatori e con caratteristiche di relazione ancora diverse da quelle dei ragazzi più grandi. Sul piano fisico si comincia ad osservare soprattutto nell'ultimo periodo una crescita funzionale tanto da realizzare azioni e movimenti che richiedono forza rapida ed una certa capacità di resistenza aerobica.
Dai tredici anni in poi a sua volta, superata la fase puberale che nei maschi si conclude intorno ai quattordici , quindici anni, che crea disordine per l'asincronia con cui maturano sistemi e apparati, diviene a volte difficile da gestire soprattutto negli sport di squadra come il calcio in quanto all'interno del gruppo si possono trovare stadi di crescita diversi che a volte presentano diverse caratteristiche morfo funzionali che spesso non sono accompagnate, nel caso di precocità maturative, da identiche disponibilità sul piano cognitivo e psicologico.
Nonostante la fase evolutiva giovanile non sia ancora terminata, ci si avvicina sempre di più alle caratteristiche dell'adulto che normalmente si completano sul piano della maturazione funzionale intorno ai diciotto, venti anni.
Questa tappa evolutiva prevede quindi un aumento del tempo di allenamento in generale ed in particolar modo cresce la disponibilità fisica, come per esempio le caratteristiche di potenza muscolare e resistenza specifica aerobica ed anaerobica, alle richieste di prestazione.

Riepilogando:
1. Periodo 5–8 anni fase della crescita tecnico coordinativa
2. Periodo 9-12 anni fase dello sviluppo tecnico coordinativo + fase della crescita cognitiva
3. Periodo 13–17 anni fase della maturazione tecnico coordinativa + fase dello sviluppo cognitivo e fisico

Seguiranno nuovi articoli relativi alle esercitazioni,
tecnica/tattica individuale o di squadra e psicologia.


www.figc.it

mercoledì 9 marzo 2011

Stanchezza muscolare

La stanchezza muscolare è una condizione che colpisce un altissima percentuale di persone, le cui cause sono collegate, esclusi i casi di patologie fisiche, al sovrallenamento.

I sintomi tipici della stanchezza muscolare sono un senso di affaticamento fisico e mentale costante, sonnolenza, difficoltà a concentrarsi, vertigini ed in alcuni casi perfino nausea ed insonnia.
Da un punto di vista medico invece è possibile distinguere tra vera debolezza, situazione in cui realmente i muscoli riescono ad emettere una forza inferiore a quella normale, situazione che è spesso collegata a malattie e situazioni patologiche, e debolezza percepita in cui invece l’intensità di forza dei muscoli è normale anche se il soggetto sente uno sforzo maggiore per ottenerla, come accade spesso nelle sindromi da affaticamento da sport.
Non bisogna meravigliarsi di quanto la stanchezza muscolare sia diffusa anche tra sportivi ben allenati, ci sono infatti una serie di cause che possono provocare l’affaticamento muscolare tra queste le più comuni sono: allenamenti troppo intensi a cui non fanno seguito i giusti tempo di riposo, alimentazione squilibrata, o per lo meno non adeguata ai livelli di attività fisica che si svolge, ore di sonno insufficienti.
Scoprire a cosa sia dovuto l’affaticamento è indispensabile per potervi porre rimedio in modo definitivo.
I rimedi per la debolezza muscolare può essere tanto un periodo di riposo totale dall’attività sportiva, dei piccoli cambiamenti nelle abitudini alimentari, cercare di avere dei ritmi di vita più regolari, etc..In linea di massima quindi è possibile porre rimedio all’affaticamento muscolare in poco tempo, è importante però cercare sempre di intervenire non appena si manifestano i primi sintomi, continuare ad allenarsi quando vi è stanchezza muscolare infatti può essere molto compromettente non solo per le prestazioni atletiche ma anche per la salute e per la forma fisica.
Sforzare i muscoli senza che questi abbiano recuperato può infatti innescare un processo di catabolismo, secondo cui i muscoli non avendo l’energia ed i nutrienti necessari cominciano a nutrirsi di loro stessi, il che provoca una diminuzione della massa magra.
La perdita di massa muscolare ha come diretta conseguenza l’ aumento della massa grassa, in altri termini vuol dire che c’è il rischio che facendo sport quando vi è debolezza muscolare il soggetto possa addirittura ingrassare e perdere tonicità.
Nel lungo periodo inoltre questo indebolimento, oltre che sul funzionamento del sistema muscolare, può avere risvolti negativi anche sulla funzionalità del sistema nervoso e dell’apparato cardiocircolatorio, compromettendo negativamente le condizioni generali di salute dell’organismo. Per tutti questi motivi è sempre bene cercare di prestare molta attenzione ai segnali di affaticamento lanciati dal nostro corpo, per non rischiare che una cosa sana e positiva come l’attività fisica si trasformi invece in qualcosa di controproducente e dannoso.
Quando non vi è nessuna delle condizioni che possano far pensare ad una debolezza muscolare dovuta alle condizioni sopracitate come allenamenti intensi, dieta squilibrata etc.. o non si riesce ad individuarla con certezza, è necessario richiedere il parere di un medico, infatti in alcuni casi la debolezza muscolare può essere legata anche malattie più o meno gravi, dalla mononucleosi alla sclerosi multipla, per cui è bene intervenire in tempo con analisi e test per scoprire le cause e scegliere la terapia per la debolezza muscolare.

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mercoledì 9 febbraio 2011

L'allenamento: Fra tecnica,lavoro e psicologia

L'allenamento è una di quelle fasi fondamentali per la buona riuscita di una squadra. Durante l'allenamento il gruppo di giocatori dovrà trovare il giusto feeling con l'allenatore e lo staff tecnico.
Andrei ad individuare queste quattro caratteristiche fondamentali che si sviluppano (o che dovrebbero svilupparsi) durante gli allenamenti nel corso di una stagione per la buona riuscita di una squadra.

- Preparazione atletica individuale e di squadra
- Feeling con il tecnico e le sue metodologie di allenamento
- Conoscenza personale ed affiatamento coi vari giocatori della squadra
- Conoscenza personale ed affiatamento coi vari dirigenti e staff societario

Raggiunta almeno la positività in queste quattro caratteristiche, sicuramente la squadra ed il suo team avrà fatto un buon lavoro e la squadra sarà pronta per togliersi delle soddisfazioni. Poi nel corso della stagione è normale che ci siano degli alti e bassi influenzati da per esempio "limiti tecnici individuali paragonati ad altri avversari di livello superiore che potremmo incontrare", "assenza in qualche gara di alcuni leader di gioco" "problemi fisici in generale" "particolari momenti psicologici di alcuni giocatori".
Ma con questo articolo non vogliamo analizzare questi fattori che influenzano il gruppo ma vogliamo approfondire le quattro caratteristiche riguardanti esclusivamente il nostro lavoro durante le sedute di allenamento.

Preparazione atletica individuale e di squadra:
Una parte fondamentale, spesso vista dai giocatori come il momento più noioso dell'allenamento. Si può fare calcio a 5 a vari livelli però la preparazione atletica individuale e di squadra è molto importante. Con una buona preparazione atletica sia il tecnico che i giocatori avranno a disposizione un arma in più che potranno utilizzare per annullare limiti tecnici che possono venire fuori nel corso di una gara contro un avversario tecnicamente più valido, oppure il tecnico potrà impostare il proprio gioco abbinando per esempio fasi di pressing a fasi di "riposo". La condizione atletica individuale aiuta anche il giocatore ad essere più concentrato durante un match riuscendo a stare calmo in situazioni complesse che possono presentarsi e/o approfittare di avversari in apparente difficoltà energetica. Consiglio sempre di avvalersi se possibile di un preparatore atletico professionista che saprà assieme all'allenatore stilare un programma di allenamento consono al gruppo a disposizione. Questa parte di allenamento, non deve essere comunque troppo noiosa, altrimenti si rischia che il gruppo di giocatori non esegua al meglio le esercitazioni. E' logico che qua bisogna lavorare sodo però lo si può fare anche con giochi a squadre con degli obbiettivi (creazione di mentalità vincente abbinata alla parte atletica), esercizi con l'utilizzo del pallone ecc ecc. Insomma i modi di allenamento sono tanti ma tenere sempre alta la soglia di divertimento (fondamentale).

Feeling con il tecnico e le sue metodologie di allenamento:
L'allenatore deve essere visto come il capo del gruppo di giocatori ed i giocatori devono vederlo come un capo.
Ci sono vari modi di porsi rispetto a un gruppo di giocatori, però è fondamentale un trattamento professionale e imparziale nei confronti di tutti. Queste due caratteristiche sono fondamentali e mettono in trasparenza l'operato di un allenatore. Non ci devono essere dei pupilli (possono esserci, ma è meglio se questa cosa non si da a vedere al resto del gruppo ne con eventuali dichiarazioni pubbliche).
Regole a volte anche ferree, chi non si allena non gioca, chi non si applica all'allenamento non gioca. Segnarsi sempre (davanti ai giocatori) i presenti e gli assenti agli allenamenti, sapere sempre come mai un giocatore non si presenta all'allenamento o ritarda alla seduta stessa,strigliare ogni tanto i giocatori (anche i leader) nel momento in cui si sbaglia qualcosa e applaudire e incitare coloro che stanno facendo bene. Tutte queste sono piccolezze comportamentali che però invogliano il gruppo a seguire e a credere nel tecnico. Poi c'è anche la parte prettamente tecnica, un allenatore deve essere preparato, con i suoi insegnamenti e le sue metodologie di gioco deve far vedere di saper risolvere ogni situazione anche complessa che sia che si presenta durante una gara, risolvere una partita applicando uno schema oppure saper bloccare eventuali talenti che ci sono in una squadra avversaria. Riuscire in tutti questi punti farà sicuramente crescere il livello di stima da parte dei giocatori nei confronti del tecnico.

Conoscenza personale ed affiatamento coi vari giocatori della squadra:
E' molto importante creare un feeling di squadra, dove tutti i componenti andranno in campo lottando per raggiungere insieme lo stesso fine (la vittoria). L'allenamento dovrà essere divertente e allo stesso tempo competitivo aiutando cosi i giocatori a lavorare sulla psicologia cercando sempre di dare il massimo. Ci sono delle personalità di spicco all'interno di ogni gruppo, persone che con il loro carisma trascinano gli altri anche se sono peggiori a livello tecnico. Il leader incita i compagni, li richiama se sbagliano, può essere tranquillamente visto come un "allenatore" in campo. Lavorando in questo modo vedremo i giocatori sempre pronti a darsi una mano aiutando il compagno in un momento di difficoltà ed esaltando un compagno particolarmente ispirato.

Conoscenza personale ed affiatamento coi vari dirigenti e staff societario:
La società deve essere presente, deve far vedere ai giocatori (ed all'allenatore) che c'è e vuole raggiungere tutti gli obbiettivi prefissati ad inizio dell'anno. Rispettare gli accordi presi coi vari giocatori, essere disponibili in caso di bisogno, queste sono tutte caratteristiche che invoglieranno un giocatore (o allenatore) a dare l'anima quando si scende in campo. Comportamenti professionali e trasparenti aumenteranno come già detto nel paragrafo per l'allenatore la stima dei giocatori nei confronti della società. Anche l'eventuale staff tecnico (preparatore atletico,massaggiatore ecc ecc) deve farsi parte integrante del gruppo tutto questo con la preparazione tecnica e la disponibilità mostrata nei confronti dei vari singoli componenti di società e squadra.

P.M.

lunedì 24 gennaio 2011

Psicologia per caricare un gruppo

La psicologia, definita comunemente come la scienza che studia il comportamento degli individui secondo i loro processi mentali, può essere applicata al calcio a 5.
Dopo questa strana affermazione qualcuno potrebbe chiedersi: che cosa hanno in comune il calcio a 5 e la psicologia?
Vediamo di approfondire.
Agli schemi e alle tattiche si sommano una serie di fattori (come motivazioni e stimoli) che trasformano questo gioco, apparentemente semplice e naturale in una complicata miscela di emozioni, di gioie e sofferenze, di sacrifici e soddisfazioni che coinvolgono e spingono una persona a dare il massimo.
La psicologia aiuta a trovare queste motivazioni fondamentali per avere successo in questo gioco e nello sport in generale.
Sul campo, il ruolo dello psicologo deve essere interpretato dall'allenatore la figura di riferimento e la guida per tutti i giocatori. Uno dei compiti più importanti e più difficili di un allenatore è sempre quello di saper motivare, caricare e esaltare al meglio i propri giocatori. Per farlo è necessaria un po' di psicologia, che in alcune situazioni può diventare anche indispensabile.
Ogni allenatore che abbia intenzione di conseguire dei successi importanti, dovrebbe utilizzare la scienza della psicologia per imparare a conoscere a fondo le debolezze e i punti di forza di ogni elemento a sua disposizione, per poterne sfruttare alla perfezione le caratteristiche e impiegarle al servizio della squadra per conseguire tutti insieme l'obiettivo comune del successo.
Il calcio a 5 è mentalità, la mentalità che serve ai giocatori di una squadra per trovare la concentrazione e la grinta necessarie per affrontare una partita ed uscire dal campo avendo segnato almeno un gol in più degli avversari. Una squadra è vincente perché ha una mentalità vincente, grazie alla quale affronta le partite con un vantaggio psicologico determinante sugli avversari. La mentalità di una squadra deve coinvolgere e proteggere il gruppo dei giocatori che devono sentirsi consapevoli della loro forza. Solo in questo modo, cioè cominciando a pensare di essere invincibili, un giorno lo diventeranno davvero.
Per costruire una squadra vincente è molto importante costruire una mentalità vincente durante la settimana che precede la partita, che coinvolga tutti i giocatori non facendo sentire in disparte nessuno. Questi devono sentirsi tutti importanti affinché possano credere insieme nel raggiungimento dei propri obiettivi basandosi sullo spirito di squadra, consapevoli che sia la loro arma più letale ed applicare questa grinta che si viene a creare durante la partita che dovranno affrontare. Quindi detto questo, spesso e volentieri sapendo lavorare sulla psicologia di un gruppo dando giusti stimoli e grinta necessaria si riesce a sopperire anche a gap tecnici apparentemente insormontabili, riuscendo a vincere partite sulla carta estremamente difficili.