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domenica 24 marzo 2013

La tendinite al ginocchio

Tendinite al ginocchio
La tendinite è un processo infiammatorio che coinvolge uno o più dei 267 tendini presenti nel corpo umano.
Esistono tre diversi tipi di tendinite al ginocchio: la tendinite del tendine rotuleo o patellare, la tendinite del muscolo quadricipite e la tendinite del popliteo.
Tendinite al ginocchioNella maggioranza dei casi il dolore al ginocchio è causato da un processo lesivo del tendine rotuleo, da cui deriva il nome di tendinopatia rotulea. Dal punto di vista anatomico questo tendine assomiglia ad un robustissimo nastro appiattito che collega la parte inferiore della rotula (distale) con la parte prossimale della tibia.
Proprio perché collega tra loro due ossa e non un muscolo con un osso viene spesso indicato come legamento patellare o rotuleo.
Questo tipo di tendinite al ginocchio, conosciuta anche come "ginocchio del saltatore" insorge generalmente a causa di un sovraccarico cronico del tendine rotuleo. I saltatori sono più soggetti a questo tipo di lesione, comune anche tra gli autotrasportatori e tra le persone che compiono regolarmente lunghi tragitti automobilistici.
Nello sport il tendine rotuleo è particolarmente sollecitato durante attività esplosive come balzi e scatti. Questo nastro fibroso agisce infatti come potente stabilizzatore della patella (o rotula) durante i movimenti estensori del ginocchio. Insieme alla componente muscolare e tendinea del quadricipite, di cui rappresenta il naturale proseguimento, il tendine rotuleo è parte integrante dell'apparato estensore del ginocchio.
Per tutti questi motivi la tendinite al ginocchio è frequente in sport come la pallavolo, il basket, il calcio e l'atletica.

Anche il tendine del muscolo quadricipite, che si inserisce nella parte superiore (prossimale) della rotula, può andare incontro a tendinite ed a lesioni. Questo tendine è tuttavia particolarmente robusto e si lesiona raramente. Le discipline sportive che prevedono forti accelerazioni degli arti inferiori seguite da brusche frenate sono più soggette a questo tipo di tendinite.

La tendinite poplitea è poco frequente e colpisce l'inserzione del tendine popliteo sull'epicondilo laterale del femore. Questa lesione è comune nei podisti e nelle persone costrette a camminare in discesa con sovraccarico (ad esempio uno zaino). Il dolore, che compare generalmente sotto carico con il ginocchio leggermente flesso (15-30°), è localizzato nella parte esterna del ginocchio (condilo femorale laterale).

NOTE: raramente le lesioni tendineee del ginocchio sono dovute ad un eccessivo sovraccarico o ad un incidente. Un tendine sano è infatti estremamente resistente e si rompe con difficoltà. I soggetti anziani sono più sensibili a questo tipo di lesioni, dato che i tendini con il passare degli anni ed il disuso perdono buona parte dell'elasticità e della resistenza originale.
Il tendine rotuleo può andare incontro a processi degenerativi anche a causa di difetti articolari, come un conflitto in flessione tra la superficie distale della rotula e lo stesso tendine, un eccessivo valgismo del ginocchio o una dismetria tra gli arti inferiori.
La tendinite può colpire il tendine rotuleo anche a livello della sua inserzione nella tibia: si parla in questo caso di malattia di Ogod-Schlatter. Questa patologia è comune negli adolescenti che hanno subìto un accrescimento rapido.
Nei soggetti in fase di crescita è comune anche la malattia di Sinding-Larsen-Johansson che colpisce l'inserzione tendinea nel polo inferiore della rotula.

Sintomi

Dolore superficiale ben localizzato nella parte bassa (tendinite del rotuleo) o alta (tendinite del quadricipite) della patella e che si accentua sotto sforzo, in particolar modo durante i salti e quando ci si inginocchia. Se la patologia non viene curata il dolore è ingravescente nel tempo: dapprima compare solo durante il riscaldamento, successivamente interferisce con la normale attività fisica ed infine compare anche a riposo.
Il dolore è evocato dalla palpazione di questa zona e talvolta è associato a gonfiore, calore e arrossamento locale.
In caso di lesione completa del tendine del muscolo quadricipite l'infortunato non può estendere attivamente la gamba ed avverte un dolore intenso. Analogo discorso se si verifica una rottura del tendine rotuleo. Entrambe queste situazioni sono estremamente rare e colpiscono solitamente i sollevatori di peso durante la fase di spinta.

Diagnosi

L'esame più adatto per diagnosticare una tendinite al ginocchio è la risonanza magnetica associata a radiografia. In questo modo è possibile visualizzare sia l'entità e l'estensione della lesione tendinea, sia la presenza di eventuali alterazioni a carico della rotula.
Anche l'ecografia, se eseguita da un radiologo esperto, consente una diagnosi accurata, poco costosa e priva di effetti collaterali.

Trattamento, prevenzione e riabilitazione: curare la tendinite

L'atleta deve innanzitutto sospendere l'attività sportiva che ha generato la tendinite. La somministrazione di farmaci antidolorofici favorisce la riduzione del gonfiore ed attenua il dolore nella fase acuta della malattia. Nelle 24-48 ore successive al trauma, soprattutto in presenza di lesioni tendinee importanti, è utile l'applicazione locale di ghiaccio tre volte al giorno per dieci-venti minuti.
Contemporaneamente è consigliato lo stretching dei muscoli flessori della coscia (ischiocrurali). Successivamente, quando il dolore diminuisce, è bene iniziare il potenziamento dei muscoli della coscia e della gamba abbinandolo ad esercizi di allungamento:

Esercizi tendinite ginocchio


Contrazioni isometriche del quadricipite: seduti a terra, con la gamba infortunata distesa ed aderente al terreno, l'altra piegata. Spingere verso il terreno il ginocchio infortunato contraendo il quadricipite (muscolo anteriore della coscia). Mantenere per 10 secondi, rilassarsi e ripetere 3 volte

Estensioni dell'arto inferiore: seduti a terra, con la gamba infortunata distesa e aderente al terreno, l'altra piegata. Contrarre i muscoli del quadricipite per sollevare l'arto infortunato di 20 cm mantenendolo il ginocchio completamente esteso. Mantenere la posizione per 10 secondi, rilassarsi e ripetere 3 volte

Estensione completa della gamba: seduti sul bordo di una sedia appoggiandosi con le mani, ginocchia piegate a 90°. Lentamente raddrizzare soltanto il ginocchio colpito da tendinite estendendolo completamente. Mantenere per 5 secondi, ritornare lentamente nella posizione iniziale e ripetere 6 volte.

Estensione del ginocchio contro resistenza: in piedi, con le mani appoggiate alla sedia, a un tavolo o alla spalliera. Fissare l'estremità di un elastico al supporto (ad es. una gamba della sedia) e l'altra dietro il ginocchio da riabilitare. Fare un passo in dietro per mettere in tensione l'elastico. Tenendo l'altro arto teso flettere leggermente il ginocchio infortunato (30-45°), fermarsi e raddrizzare la gamba contraendo i muscoli della coscia. Ripetere 10 volte.

Mezzo squat: in piedi, mani lungo i fianchi, piedi alla larghezza della spalle con le punte ruotate verso l'esterno di 30°. Flettere entrambe le ginocchia di 45 grandi, spingere sui talloni contraendo i muscoli della coscia e tornare nella posizione di partenza. Ripetere 10 volte.

Step, su e giù: allena tutti i muscoli della coscia e i glutei. Salire su un gradino di 5 cm utilizzando l'arto infortunato, poi scendere lentamente fino ad appoggiare il tallone (non le dita) dell'altro piede. Sollevarsi verso l'alto facendo forza sul tallone dell'arto dolente e ripetere. Durante la flessione Il ginocchio infortunato non deve mai superare la proiezione verticale della punta del piede. L'altezza del gradino andrà aumentata progressivamente seduta dopo seduta (10-15-20 cm) .

N.B: prima di eseguire questi esercizi per prevenire la tendinite al ginocchio chiedete un parere al vostro medico. Aggiungere esercizi di stretching per il quadricipite e per i muscoli posteriori della coscia.
Gli esercizi di allungamento degli arti inferiori, se eseguiti all'inizio e al termine degli allenamenti, sono utili anche per prevenire la tendinite. Ulteriori misure preventive comprendono:
correzzione di eventuali squilibri muscolari o articolari
potenziamento anche della muscolatura non direttamente coinvolta nel gesto atletico
esecuzione di un programma di allenamento razionale, adatto alle proprie caratteristiche fisiche e che preveda i giusti tempi di recupero.
Per prevenire la tendinete al ginocchio è inoltre importante:
non esagerare con le attività sportive alternative alla principale, soprattutto se poco correlate al gesto atletico
indossare scarpe comode ed evitare terreni eccessivamente rigidi, morbidi o sconnessi
imparare ad ascoltare i segnali che il corpo invia: in particolare è bene non ignorare dolore e rigidezza locale anche se lieve e momentanea
evitare iniezioni locali di corticosteroidi in quanto aumentano il rischio di rottura del tendine rotuleo
Per favorire la guarigione dalla tendinite del ginocchio il medico può prescrivere terapie accessorie come ionoforesi, tens laserterapia ed ultrasuoni.
Normalmente una tendinite al ginocchio si risolve nel giro di qualche settimana. Il ricorso all'intervento chirurgico è piuttosto raro e limitato ai casi in cui la tendinite cronicizza senza rispondere adeguatamente al trattamento riabilitativo. L'intervento chirurgico prevede l'incisione di una specifica zona del tendine che ne stimolerà la rigenerazione spontanea. L'operazione, oggi eseguibile in artroscopia potrà inoltre correggere eventuali anomalie dell'apice inferiore della rotula.
In caso di rottura completa l'intervento chirurgico di suturazione è d'obbligo.

Fonte dell'articolo:


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giovedì 27 settembre 2012

Gambe pesanti cause e rimedi


COSA VUOL DIRE "GAMBE STANCHE E PESANTI"?
La sensazione di facile stancabilità che si presenta tutte le volte che si devono compiere sforzi, come camminare troppo velocemente portando un peso,  salire molte rampe di scale, giocare a tennis o fare semplicemente del footing, non dipende certo, come credono tutti, dallo scarso allenamento.
Le gambe diventano stanche perché la loro muscolatura non riceve la quantità di sangue adeguata e quindi l'ossigeno necessario per poter svolgere appieno il lavoro in eccesso richiesto. Non lo ricevono perché c'è la stasi.
Un esempio è dato dal fatto che stando per molto tempo in piedi senza contrarre la muscolatura del polpaccio, oppure seduti per tutto il giorno dietro ad una scrivania, è come se i muscoli fossero addormentati ed a volte fanno persino male quando si cerca di muoversi.
Il danno è proprio a livello delle fibre muscolari, che si assottigliano fino a diventare qualche volta addirittura atrofiche: di fuori non si vede perché lo spazio prima occupato dalle fibre muscolari è ora occupato da grasso, per cui la gamba resta apparentemente ben tornita. Ma è molto più debole di prima.
Un secondo esempio molto calzante, è che la sera i piedi e le caviglie diventano gonfie ed una volta levate le scarpe diventa difficile ricalzarle. La causa del gonfiore è sempre la stasi a livello dei capillari.
I capillari sono quei piccolissimi vasi sanguigni da cui esce un flusso costante di plasma che si riversa negli interstizi per andare a nutrire le cellule. Ecco che la stasi aumenta anche di 3, 5, 10 volte e questo flusso plasmatico si accumula in quantità tale da non poter più venir smaltito dalle venule e dai piccoli vasi linfatici.
Ecco perché si ha l'edema e le caviglie  sono gonfie e pesanti. Il riposo notturno, ma soprattutto il fatto di essere distesi, facilita il ritorno venoso e perciò al mattino le caviglie ritornano sottili e la pelle è ancora rosea ed elastica.
Lo stesso fenomeno si verifica anche a livello delle ginocchia e delle cosce, ma è molto difficile accorgersene. La realtà è che tutte le volte che si ha un gonfiore alle caviglie esce acqua, "plasma" in eccesso anche nelle ginocchia e nelle cosce.
Si è detto che tutto torna come prima dopo il riposo notturno. È vero, ma questo può durare qualche anno e non tutta la vita senza che i tessuti e poi i grandi canali di raccolta che sono le vene di tutta la gamba ne risentano fino a soffrirne, modificando sia la loro struttura che la loro funzione.
Quando il sovraccarico è eccessivo, le piccole venule si sfiancano, si dilatano e cominciano a diventare meno efficienti anche le fibre muscolari ed elastiche delle vene più grandi, sempre più verso l'alto.
Cominciano a comparire, irregolarmente sparsi qua e là, i cosiddetti "capillari".
Sono le teleangectasie, vere e proprie mini varici delle piccole venule collettrici di primo e secondo ordine che si disegnano sulla superficie cutanea e spiccano per il loro decorso tortuoso, per le irregolarità di diametro, per il loro colore blu scuro, segno del sangue che scorre male.
In seguito dopo anni in certi punti "le vene si vedono". Cominciano cioè ad essere più tumide, più grosse ed in qualche punto addirittura palpabili, venule e piccole venule che prima non c'erano o meglio non si vedevano. È il primo segno del fatto che cominciano a cedere le strutture. Anche la piccola vena la cui parete è già "muscolarizzata", finisce con lo sfiancarsi per tutto il suo perimetro, ed allora si dice che vi è una dilatazione segmentaria venosa, oppure solo in certi punti ed in questo caso si parla di piccoli aneurismi e se il decorso è tortuoso di varicosità.
Passano ancora molti altri anni e comincia il dramma delle varici.
La safena, la grande e la piccola, e poi altre vene, si sfiancano, le valvole a nido di rondine non chiudono più bene e non sono in grado di bloccare la tendenza al ritorno verso il basso della colonna di sangue, per cui si instaura la vera e propria flebopatia da stasi venosa cronica con insufficienza venosa.
A questo punto cala il sipario perché il dramma è concluso. Non resta che l'intervento chirurgico di safenectomia o la flebectomia ambulatoriale oppure il portare per tutta la vita bendaggi o calze elastiche, sottoponendosi ad una elasto-compressione che finisce col diventare insopportabile e condiziona negativamente sia la vita di relazione che lo stesso assetto psico-affettivo di chi le porta.

RIEPILOGANDO:

Quali possono essere le cause di questo disturbo?
Vari fattori scatenanti possono indurre la comparsa di questi fastidi:
• presenza di una certa predisposizione costituzionale alla comparsa di disturbi della circolazione;
• vita sedentaria;
• stare in piedi per prolungati periodi di tempo;
• alimentazione scorretta;
• sovrappeso;
• indossare indumenti troppo stretti e tacchi troppo alti.

Come possiamo garantire alle gambe una condizione di maggior benessere? 
Innanzitutto è necessario contrastare la sedentarietà con il movimento e quindi svolgere un’attività fisica che oltre a tonificare ed a rafforzare la muscolatura ci aiuti a migliorare la circolazione sanguigna delle nostre gambe. Questi obiettivi possono essere raggiunti con il semplice “camminare”: effettuare nelle ore meno calde una passeggiata di 20 minuti al giorno a passo sostenuto e con ritmo costante rappresenta un ottimo esercizio per cuore, polmoni e muscoli.
Se si svolge un lavoro che costringe a stare seduti per molte ore alla scrivania ricordarsi di concedersi qualche pausa per fare qualche passo e sgranchirsi le gambe.
L’aumento di peso favorisce la comparsa di stanchezza, pesantezza e talvolta anche di gonfiori alle gambe, di conseguenza per contrastare la comparsa di questi disturbi è importante mantenere il peso forma alimentandosi in modo bilanciato evitando i cibi ipercalorici e gli alcolici, riducendo il consumo di sale, assumendo una sufficiente quantità di fibre e bevendo molta acqua. 
E’ consigliabile non indossare abitualmente abiti eccessivamente attillati che potrebbero comprimere i vasi e nemmeno scarpe troppo strette, a punta e con il tacco molto alto: per la vita di tutti i giorni è opportuno scegliere abiti comodi e scarpe confortevoli con un tacco alto al massimo 3-4 cm.
Dopo una giornata lunga e faticosa possiamo portare sollievo alle nostre gambe stanche ed appesantite facendo un pediluvio oppure una doccia agli arti inferiori con acqua fredda e quindi sdraiandosi avendo cura di appoggiare le gambe su un cuscino per tenerle sollevate. Quando alla sera si nota gonfiore alle gambe e soprattutto alle caviglie può rivelarsi utile dormire con un cuscino sotto le caviglie: alla mattina il gonfiore sarà quasi sicuramente scomparso perché questa posizione favorisce il rilassamento dei muscoli e soprattutto aiuta la circolazione.
Quando ci troviamo in vacanza al mare approfittiamo del benefico massaggio che l’acqua di mare può esercitare sulle nostre gambe facendo delle utili oltre che piacevoli passeggiate lungo la riva.


Fonti
e

venerdì 21 ottobre 2011

La pubalgia

La pubalgia è una mioentesite che colpisce i punti di inserzione sull'osso pubico di diversi muscoli: adduttori, pettineo, piramidale, retti addominali, obliqui addominali, trasversi addominali.
Cause:
Viene provocata generalmente da un carico eccessivo nel corso dell'attività sportiva.
Generalizzando il termine, l'infortunio non riguarda solo patologie tendinee, muscolari, ossee o articolari, ma anche patologie infettive, tumorali, borsiti, intrappolamenti nevosi ecc.
Per chi pratica la corsa, secondo la teoria più conosciuta, la pubalgia viene spesso provocata dal sovraccarico nei punti di inserzione degli adduttori, dovuto a:
a) attività su fondo irregolare
b) scarpe inadeguate
c) scarso equilibrio fra la muscolatura degli arti inferiori e quella addominale (condizione possibile in chi corre)
d) infortuni precedenti non ben recuperati
e) incremento quantitativo (o qualitativo) troppo rapido dei carichi d'allenamento.
In pratica la nostra statistica rileva che la pubalgia è un infortunio piuttosto raro al di fuori dei seguenti casi:
1- abbinamento corsa-calcio/Calcio a 5 (soprattutto calcio a 5; incidenza: 45% dei casi di pubalgia)
2- sovrappeso in relazione alla distanza abitualmente percorsa (l'atleta non rispetta la distanza massima consigliata dal suo rapporto peso/altezza; incidenza: 30% dei casi di pubalgia)
3- allenamenti collinari frequenti con ritmi eccessivi in discesa (incidenza: 15% dei casi di pubalgia).

Sintomi e cura
Il dolore colpisce la zona dell'inguine per estendersi alle zone circostanti e può portare all'interruzione dell'allenamento o della gara. Riscontrata la patologia è necessario un periodo di stop di 20 giorni che serve (oltre a identificare specificatamente la causa del problema e predisporsi a eliminarla alla ripresa) a risolvere i casi meno gravi e a evitare il degenerare della patologia verso quadri dove si rischia di avere problemi anche a camminare. Se il problema persiste dopo il periodo di stop, l'ortopedico con l'esame obbiettivo riscontra un forte dolore a livello inguinale alla pressopalpazione. Anche alcuni movimenti specifici degli adduttori provocano dolore. Il medico deve tenere conto del fatto che altre patologie possono presentare sintomi simili a quelli della pubalgia (ernie inguinali, patologie urologiche o ginecologiche, intrappolamenti nervosi) ed eventualmente valutare la possibilità di esami non ortopedici (erniografia, test della lidocaina ecc.). La radiografia (scintigrafia, risonanza o Tac) consente di individuare eventuali lesioni a livello dell'osso pubico, mentre l'ecografia rileva problemi alle strutture miotendinee.
In genere l'inefficacia del periodo di stop dà al medico le giuste indicazioni per comporre il cocktail di terapie di aggressione della pubalgia. Si deve precisare che la terapia conservativa è quella che dà i migliori risultati (stretching, potenziamento muscolare ecc.), anche se non è facile trovare abili riabilitatori che sappiano indicare il programma di cinesiterapia corretto.
L'efficacia di terapie fisiche quali litotritore, correnti laser, ipertermia non è scientificamente né statisticamente provata. In casi particolari e generalmente più gravi si può ricorrere all'intervento chirurgico.

Albanesi.it

venerdì 19 agosto 2011

I crampi

Crampi: Informazioni,prevenzione e trattamento
"Un dolore improvviso, acuto, spesso lancinante al polpaccio,
nella parte posteriore della coscia o al piede".


Si presenta così il crampo, specialmente durante l’attività sportiva. Il dolore è persistente e non scompare nemmeno se ci si ferma: ecco questa “particolare” patologia si chiama appunto crampo. Si tratta di contrazioni involontarie, violente e inaspettate che generalmente si presentano durante uno sforzo, ma anche di notte, durante il sonno.

Le condizioni che creano l’insorgenza dei crampi sono molteplici:

  1. una scarsa circolazione sanguigna fa sì che si verifichino durante la notte, quando la temperatura del corpo si abbassa; anche le condizioni climatiche possono “contribuire” a questa situazione perché il freddo agisce sulla circolazione del sangue, rallentandola;
  2. quando si assume una posizione non naturale, la circolazione è ostacolata e possono insorgere contrazioni muscolari anomale;
  3. anche i farmaci, specialmente i diuretici possono contribuire alla comparsa dei crampi e questo fenomeno rientra negli effetti collaterali del farmaco assunto;
  4. l’eccessiva sudorazione provoca invece un’alterazione che fa contrarre il muscolo in modo anomalo.

Infine la situazione più comune: la fatica. Gli atleti e tutti coloro che praticano discipline sportive, durante i loro allenamenti, sono “soggetti” alla fatica e quando questa risulta esagerata rispetto al grado di allenamento personale (ciò riguarda soprattutto gli amatori), si creano alterazioni biochimiche e di conseguenza spasmi e contrazioni. I soggetti maggiormente a “rischio” di crampi improvvisi, sono quelli in soprappeso e le persone poco allenate che “improvvisano” programmi di allenamento senza andare per gradi e sottoponendosi a sforzi eccessivi. Ma vediamo nel dettaglio in cosa consistono i crampi e come affrontarli.

Cos’è un crampo?
Per “crampo” si intende uno spasmo involontario della muscolatura striata, che insorge in modo repentino e doloroso presentandosi come una fitta acuta.
In breve si può definire come una “contrazione involontaria della muscolatura volontaria”

Quali sono le cause dei crampi?
L’insorgenza dei crampi è dovuta più che ad una singola causa, a tutta una serie di fattori, alcuni dei quali non sono stati ancora chiariti. Sicuramente si può dire che queste contrazioni sono favorite dalla perdita di liquidi e sali minerali, fenomeno tipico durante la sudorazione, oppure a causa di problemi di circolazione. Generalmente soffrono più frequentemente di crampi coloro che praticano attività sportive particolarmente intense o in condizioni climatiche caldo-umide. Ma convivono con i crampi anche coloro che per problemi di circolazione, o per un respiro molto frequente (ventilazione inadeguata), determinando un impoverimento di ossigeno a livello dei tessuti.
La comparsa dei crampi è molto più frequente nei soggetti meno allenati o comunque meno predisposti a impegni muscolari molto intensi.

Quali rimedi per ridurre l’insorgenza dei crampi?
Se possibile praticare attività fisica in ambienti freschi e asciutti dove il normale processo fisiologico della sudorazione non è accelerato dal fattore clima. Abbinare alla pratica sportiva, ma anche alla vita di tutti i giorni, un adeguato reintegro di liquidi e Sali minerali, con cibi e bevande che contengano le giuste quantità di sodio, magnesio, calcio e potassio. Evitare di praticare attività fisica subito dopo aver mangiato. La digestione utilizza grandi quantitativi di sangue in circolo sottraendolo, nel momento dell’attività fisica, al tessuto muscolare.

Esiste una cura ad “hoc” per i crampi?
In soggetti sani non esistono cure contro i crampi che si manifestano generalmente con una certa regolarità in occasione di sforzi fisici prolungati. Il fatto che questo fenomeno tenda a ripetersi, indica che la causa non è da ricercare nello squilibrio chimico legato alla sudorazione perché in genere il fenomeno si verifica anche in condizioni climatiche normali. Non è utile assumere sali minerali in maniera esagerata, nella speranza di “evitare” il crampo, occorre piuttosto “modulare” il tipo di allenamento in base alla competizione che si vuole affrontare, perché, come detto sopra, questa patologia, colpisce in maggior misura, coloro che “vantano” uno scarso allenamento.

Cosa fare quando insorge il crampo? Come bisogna comportarsi?
È importante massaggiare subito la parte dolente, riscaldandola (non utilizzare il ghiaccio, molto indicato invece per le contratture).

Come alleviare il dolore e far rilassare il muscolo “colpito” dal crampo?
Dopo aver massaggiato la parte colpita, sarà sufficiente immergerla in acqua calda. Se il crampo ha colpito il piede occorrerà tirare con delicatezza l’alluce verso il corpo, piegando contemporaneamente il piede in avanti e indietro. Se invece è il polpaccio a soffrire, l’unico rimedio è mettersi in piedi e poggiare con tutto il peso del corpo sulla zona non “colpita”. Infine, se il crampo riguarda l’atteggiamento più corretto è quello di sdraiarsi massaggiando vigorosamente tutta la zona dolente. Gli specialisti consigliano anche l'applicazione locale di pomate antinfiammatorie.

Come riconoscere un crampo da una contrattura?
La diagnosi esatta viene fatta in base al dolore: nel caso di contrattura il soggetto a riposo non avverte dolore, al massimo un leggero fastidio, mentre nel caso di crampo, anche se si interrompe immediatamente l’attività sportiva che sta svolgendo, il dolore rimane molto forte ed è importante quindi provare a “stirare” il muscolo.

Ci sono dei cibi o delle bevande consigliate per curare la “patologia” crampi?
Sicuramente, eccole:

  • Verdure a foglia verde scura
  • banane
  • Latte
  • Formaggio
  • Yogurt
  • Pesce
  • Broccoli
  • Prodotti a base di sesamo
  • Uova
  • Fegato
http://www.benessere.com

lunedì 1 agosto 2011

La tendinite

I tendini sono robuste strutture fibrose, dal colorito madriperlaceo, che legano i muscoli alle ossa. Queste importanti strutture anatomiche funzionano pertanto come vere e proprie connessioni, in grado di trasformare in movimento la forza generata dalla contrazione muscolare.

Il termine patologie tendinee o tendinopatia raggruppa un insieme di malattie che interessano i tendini (tendiniti, tendinosi), la guaina sinoviale o peritenonio che li protegge (tenosinovite, paratenonite) o le strutture anatomiche adiacenti come le borse (borsiti).
Spesso tutte queste condizioni sono presenti contemporaneamente e per questo motivo in codesto articolo verranno trattate globalmente.
Come tutte le strutture anatomiche anche i tendini possono andare incontro, con il passare del tempo, a fenomeni degenerativi. Le patologie tendinee sono infatti piuttosto frequenti nonostante la natura abbia dotato i tendini di una grossa resistenza alle sollecitazioni esterne (si calcola che durante la corsa la tensione applicata al tendine di Achille raggiunga i 9000 N che corrispondono, grosso modo, ad una tonnellata).
Le lesioni solitamente si verificano nel punto di collegamento tra il tendine con il tessuto osseo e per questo motivo si parla spesso di "patologia inserzionale".

La tendinite è un processo infiammatorio che coinvolge uno o più dei 267 tendini presenti nel corpo umano. Tale infiammazione è comunemente causata dalla ripetizione cronica di microsollecitazioni che a lungo andare alterano la normale struttura delle fibrille.
Si parla in questo caso di patolgia tendinea da sovraffaticamento.
Quando un tendine è sollecitato oltre il limite di sopportazione fisiologica, le fibrille che lo compongono subiscono delle lesioni più o meno ampie. Tali lacerazioni vengono riparate spontaneamente ma le nuove cellule formeranno un tessuto più vascolarizzato, disorganizzato e per questo meno resistente dell'originale. Si parla in questo caso di degenerazione tendinea che avrà come risultato finale una diminuzione della dimensione delle cellule (ipotrofia).
Se a tale degenerazione è associata una risposta infiammatoria si parla di tendinite in caso contrario di tendinosi. I tendini che si logorano più frequentemente sono quelli delle ginocchia, dei gomiti e della spalla (cuffia dei rotatori).

Cause e fattori di rischio

Nella stragrande maggioranza dei casi (97%) le degenerazioni tendinee sono causate dalla ripetizione continua di microtraumi (sovraffaticamento). Solo raramente un tendine sano può subire una rottura acuta da sovraccarico. I tendini sani, se sottoposti a tensioni eccessive, sono infatti talmente resistenti da lacerare il muscolo o il segmento osseo a cui sono attaccati. Se invece il tendine è indebolito da continui microtraumi la sua resistenza diminuisce poco a poco rendendolo più suscettibile alle lesioni.
La tendinopatia insorge solitamente in seguito a:
Sovraccarico funzionale: aumento della frequenza e dell'intensità degli allenamenti, sovrallenamento, abbigliamento e calzature non adeguate,
corsa su terreni sconnessi o particolarmente duri, scivolosi o troppo soffici come la sabbia
errata esecuzione tecnica dell'esercizio, squilibrio tra forza muscolare e resistenza tendinea (frequente in chi assume steroidi anabolizzanti)
iniezioni locali di corticosteroidi, mancanza di riscaldamento globale e specifico,
ripresa precoce degli allenamenti dopo un infortunio, vizi posturali.

Più in generale le patologie tendinee insorgono a causa di un'attività fisica a cui non si è abituati. Per un atleta potrebbe trattarsi di un cambio radicale del programma di allenamento; per un sedentario di una nuova attività lavorativa o di uno sforzo fisico troppo impegnativo.
Talvolta le tendinopatie sono causate da patologie sistemiche come l'artrite reumatoide, la gotta, l'ipercolesterolemia o l'insufficienza renale.
Vi sono poi numerosi fattori congeniti che predispongono il soggetto alla tendinopatia come: dismetrie tra gli arti, difetti di assialità (anomalie nelle curve fisiologiche del rachide, valgismo o varismo delle ginocchia, conflitti articolari ecc.).
La tendinopatia è favorita dal ridotto flusso di sangue al tendine. Una bassa vascolarizzazione diminuisce infatti l'apporto di ossigeno e nutrienti rallentando i processi riparativi e favorendo quelli degenerativi. In questi casi la risposta infiammatoria è ridotta o assente e la malattia tende a cronicizzare: si parla pertanto di tendinosi.
Questo quadro patologico interessa solitamente il tendine del muscolo sovraspinato proprio a 1-2 centimetri dalla sua inserzione sulla testa omerale, punto in cui la vascolarizzazione è molto ridotta. Analogo discorso per la tendinosi Acchilea che colpisce l'omonimo tendine nel punto più povero di capillari, localizzato a circa 2-5 centimetri dalla sua inserzione calcaneare.
Anche l'invecchiamento e le variazioni ormonali favoriscono l'instaurarsi della patologia tendinea. In particolare gli atleti più anziani che riprendono gli allenamenti dopo un lungo periodo di stop, sono maggiormente soggetti a lesioni tendinee complete.
Questo perché con il passare degli anni tendini e muscoli perdono elasticità diventando più sensibili agli eventi traumatici.

Sintomi di una tendinite

Il sintomo principale della tendinopatia è il dolore localizzato nella sede anatomica in cui si trova il tendine coinvolto dalla lesione. Tale dolore si accentua o compare esclusivamente durante la palpazione dell'area interessata o durante movimenti attivi e passivi che coinvolgono in maniera importante il tendine lesionato. Spesso si registra un deficit nella forza dei muscoli collegati ai tendini lesionati.
Una rottura completa o parziale del tendine causa un dolore acuto ed improvviso che insorge solitamente durante un movimento impegnativo. Gonfiore, ecchimosi e palpabilità della lesione sono proporzionali al numero di fibre lesionate.
Durante le attività sportive il dolore può essere percepito chiaramente all'inizio del riscaldamento per poi scomparire e ricomparire al termine della seduta.

Diagnosi

La risonanza magnetica, associata ad un'accurata anamnesi del paziente e ad un esame clinico approfondito, consente di diagnosticare correttamente le cause di dolore tendineo. In particolare questa importante tecnica permette una valutazione dettagliata sia dell'estensione sia dell'entità della lesione.
Anche gli ultrasuoni (ecografia) sono in grado di valutare correttamente le patologie tendinee e pur essendo meno precisi della risonanza magnetica vengono spesso impiegati perché meno costosi e particolarmente utili nel monitorare il processo di guarigione.

Curare la tendinite

Nella fase acuta della malattia è importante sospendere l'attività che ha generato il dolore tendineo. L'articolazione dolente va successivamente messa a riposo e fatta esaminare da uno specialista. Se la sintomatologia dolorosa è poco accentuata, è bene attendere qualche giorno prima di rivolgersi al medico, che andrà contattato solo se il dolore non regredirà spontaneamente. Nell'attesa è possibile intraprendere una terapia anitinfiammatoria a base di pomate, cerotti o compresse.
Se il dolore insorge improvvisamente ed è molto intenso, in attesa dei soccorsi, è bene applicare del ghiaccio sulla zona interessata, in modo da arrestare e controllare l'emorragia il più rapidamente possibile.
In base all'entità della lesione il medico potrà prescrivere farmaci antinfiammatori e un riposo più o meno lungo.
Al termine del periodo di immobilizzazione, gli esercizi di riabilitazione devono iniziare quanto più precocemente possibile e comunque entro due settimane dal trauma. I tendini infatti rispondono positivamente alle sollecitazioni esterne rinforzando le fibre appena rigenerate e orientandole lungo la direzione del movimento. Una mobilizzazione precoce è dunque un presupposto fondamentale per favorire il riacquisto della resistenza e della elasticità perduta, allontanando al tempo stesso il rischio di recidive.
Nella fase iniziale si possono eseguire esercizi isometrici a carico naturale (contrazione del muscolo senza movimento). Successivamente il programma riabilitativo della tendinite e delle patologie tendinee prosegue con l'introduzione di esercizi eccentrici associati a stretching. Entrambe queste tipologie di esercitazioni si sono infatti dimostrate particolarmente efficaci nel stimolare la guarigione. Si tratta in ogni caso di esercitazioni potenzialmente pericolose, che vanno pertanto svolte esclusivamente sotto la supervisione di personale qualificato. Al termine della seduta è consigliata l'applicazione di ghiaccio per 5-10 minuti, in modo da ridurre edema e dolore. Manipolazioni, agopuntura, tens, ultrasuoni ed altre terapie fisiche possono essere scelte dal medico per integrare il programma riabilitativo.
Il trattamento chirurgico è indicato per le lesioni complete o nel caso in cui i tendini non rispondano adeguatamente al trattamento riabilitativo. Nel primo caso si provvederà a ricucire i due capi il prima possibile, nel secondo a rimuovere il tessuto degenerato e a praticare un'incisione nel tendine per stimolanre il processo di rigenerazione spontanea. Le moderne tecniche chirurgiche intervengono, dove consentito, staccando un piccolo lembo di muscolo e ribaltando l'estremità mobile sul tendine lesionato. In questo modo si ottiene una guarigione più rapida, grazie allo stimolo esercitato dal tessuto muscolare sui processi di rigenerazione tendinea.

Prevenzione delle tendiniti
Concludiamo questo articolo elencando alcuni consigli
per prevenire tendiniti e tendinopatie:
Tanto più un muscolo è accorciato e ipertrofico, tanto maggiore sarà il rischio di lesione, per questo motivo è bene iniziare e terminare ogni attività sportiva con qualche
esercizio di stretching, anche il riscaldamento iniziale è molto importante per prevenire infortuni di qualsiasi genere, equipaggiamento idoneo,
particolare attenzione alle calzature,
sapersi ascoltare, concedere al proprio corpo i giusti periodi di recupero.
Il dolore può essere un campanello d'allarme, se compare è bene riposare o passare ad un'altra attività meno impegnativa, evitare di strafare, dopo un lungo periodo di inattività riprendere gradualmente la pratica sportiva, rispettare la corretta tecnica di esecuzione degli esercizi.

Mypersonaltrainer.it

lunedì 25 aprile 2011

Recupero fisico

Chi pratica sport dovrebbe sapere quanto è importante recuperare velocemente da uno sforzo fisico particolare, come può essere una partita,un allenamento, una serie di gare disputate in giorni molto ravvicinati oppure, ad inizio stagione durante la preparazione atletica. Bisogna poi considerare che la difficoltà a recuperare aumenta con l'età.

Ecco alcune semplici regole ed informazioni per recuperare più velocemente:

1- Immediatamente dopo lo sforzo fisico vi consiglio innanzitutto di fare molto stretching, senza forzare, almeno per i muscoli più sollecitati (solitamente le gambe) evitando così indurimenti dovuti a microtraumi muscolari.

Inoltre importantissima è l'idratazione! Dopo uno sforzo, ma anche durante se c'è la possibilità, dovete bere molta acqua, meglio ancora bevande ricche di sali minerali (vedi gli appositi articoli su questo sito) come i più noti integratori in commercio.

2- Ma gli integratori servono solo marginalmente, importantissimo è invece curare l'alimentazione ripristinando i livelli di glicogeno nel corpo con l'assunzione di carboidrati, ossia mangiete pasta, cereali, pane, miele, marmellata etc etc. Il sovrappeso è poi un fattore che limita molto i tempi di recupero fisico. Tenete sotto controllo il peso!

3- L'ideale sarebbe poi effettuare un massaggio defaticante subito dopo la prestazione sportiva, in modo da smaltire meglio l'acido lattico, ma spesso ciò non è possibile per la mancanza di massaggiatori, soprattutto in campo dilettantistico.

Le alternative sono l'elettrostimolazione, ma agire su tutti i muscoli coinvolti è difficile, oppure l'idromassaggio, che stimola sempre la circolazione.

4- Ecco quindi un consiglio specifico per la notte successiva allo sforzo fisico: dormite con le gambe in scarico, ossia in alto!
Per fare ciò è sufficiente mettere un cuscino o due sotto il materasso a livello dei piedi.
In questo modo il sangue circolerà meglio ed eviterete di svegliarvi con le gambe "imballate" e dure.

Ricordatevi infine che la capacità di recupero è "allenabile", nel senso che prestando sempre la stessa attenzione a questi metodi ed allenandovi costantemente, i tempi di recupero fisico si possono ridurre sensibilmente.

mercoledì 9 marzo 2011

Stanchezza muscolare

La stanchezza muscolare è una condizione che colpisce un altissima percentuale di persone, le cui cause sono collegate, esclusi i casi di patologie fisiche, al sovrallenamento.

I sintomi tipici della stanchezza muscolare sono un senso di affaticamento fisico e mentale costante, sonnolenza, difficoltà a concentrarsi, vertigini ed in alcuni casi perfino nausea ed insonnia.
Da un punto di vista medico invece è possibile distinguere tra vera debolezza, situazione in cui realmente i muscoli riescono ad emettere una forza inferiore a quella normale, situazione che è spesso collegata a malattie e situazioni patologiche, e debolezza percepita in cui invece l’intensità di forza dei muscoli è normale anche se il soggetto sente uno sforzo maggiore per ottenerla, come accade spesso nelle sindromi da affaticamento da sport.
Non bisogna meravigliarsi di quanto la stanchezza muscolare sia diffusa anche tra sportivi ben allenati, ci sono infatti una serie di cause che possono provocare l’affaticamento muscolare tra queste le più comuni sono: allenamenti troppo intensi a cui non fanno seguito i giusti tempo di riposo, alimentazione squilibrata, o per lo meno non adeguata ai livelli di attività fisica che si svolge, ore di sonno insufficienti.
Scoprire a cosa sia dovuto l’affaticamento è indispensabile per potervi porre rimedio in modo definitivo.
I rimedi per la debolezza muscolare può essere tanto un periodo di riposo totale dall’attività sportiva, dei piccoli cambiamenti nelle abitudini alimentari, cercare di avere dei ritmi di vita più regolari, etc..In linea di massima quindi è possibile porre rimedio all’affaticamento muscolare in poco tempo, è importante però cercare sempre di intervenire non appena si manifestano i primi sintomi, continuare ad allenarsi quando vi è stanchezza muscolare infatti può essere molto compromettente non solo per le prestazioni atletiche ma anche per la salute e per la forma fisica.
Sforzare i muscoli senza che questi abbiano recuperato può infatti innescare un processo di catabolismo, secondo cui i muscoli non avendo l’energia ed i nutrienti necessari cominciano a nutrirsi di loro stessi, il che provoca una diminuzione della massa magra.
La perdita di massa muscolare ha come diretta conseguenza l’ aumento della massa grassa, in altri termini vuol dire che c’è il rischio che facendo sport quando vi è debolezza muscolare il soggetto possa addirittura ingrassare e perdere tonicità.
Nel lungo periodo inoltre questo indebolimento, oltre che sul funzionamento del sistema muscolare, può avere risvolti negativi anche sulla funzionalità del sistema nervoso e dell’apparato cardiocircolatorio, compromettendo negativamente le condizioni generali di salute dell’organismo. Per tutti questi motivi è sempre bene cercare di prestare molta attenzione ai segnali di affaticamento lanciati dal nostro corpo, per non rischiare che una cosa sana e positiva come l’attività fisica si trasformi invece in qualcosa di controproducente e dannoso.
Quando non vi è nessuna delle condizioni che possano far pensare ad una debolezza muscolare dovuta alle condizioni sopracitate come allenamenti intensi, dieta squilibrata etc.. o non si riesce ad individuarla con certezza, è necessario richiedere il parere di un medico, infatti in alcuni casi la debolezza muscolare può essere legata anche malattie più o meno gravi, dalla mononucleosi alla sclerosi multipla, per cui è bene intervenire in tempo con analisi e test per scoprire le cause e scegliere la terapia per la debolezza muscolare.

www.benessere360.com

mercoledì 15 dicembre 2010

Attività all'aperto, pericolo freddo!

Anche se il calcio a 5 è uno sport che si pratica in teoria al chiuso, purtroppo non tutti possono permettersi il noleggio di palazzetti o strutture al coperto per allenamenti o partite quindi si è costretti a giocare ed allenarsi su campi all'aperto in tutto il periodo della stagione.
Con l'arrivo dell'inverno e di conseguenza del freddo dobbiamo preparare bene il nostro corpo e seguire delle semplici regole per fare attività sportiva all'aperto
con temperature anche molto basse.

Contrariamente a quanto si possa pensare, recenti studi hanno dimostrato che praticare attività sportive all’aperto d’inverno è salutare e i traumi e gli infortuni sono minori rispetto al periodo estivo.
E’ necessario solltanto prendere alcune precauzioni e convincersi che certe dicerie sono erronee.
Tra queste l’idea che l’aria troppo fredda posa creare dei problemi ai polmoni rendendoli più a rischio di infezioni e patologie respiratorie quali asma o bronchiti.
Per quanto riguarda l’abbigliamento è importante non coprirsi troppo e vestirsi a strati con capi di microfibra o teflon che permettono al sudore di fuoriuscire non lasciando i capi umidi.

E’ molto importante coprire la testa perchè è la parte che regola la temperatura corporea ed è importante avvertire un po’ di freddo all’inizio dell’attività fisica affinchè il corpo si regolarizzi durante lo sforzo.
L’unica controindicazione per non praticare sport all’aperto in pieno inverno è quando si ha il raffreddore o l’influenza o febbre oppure mal di testa.

Consigli per l'alimentazione per chi deve eseguire un attività all'aperto a temperature basse:

L’alimentazione giusta per difendersi dal freddo. Con il procedere dell’autunno e l’avvicinarsi dell’inverno sentiamo sempre di più l’esigenza di difenderci dal freddo che si fa sempre più sentire. D’altronde possiamo rimediare con la dieta più adeguata, che deve tenere conto di alcuni elementi particolari, i quali non dovrebbero mai mancare a tavola.


Difendersi dal freddo con la giusta alimentazione significa anche potenziare le nostre difese immunitarie, in modo da riuscire ad evitare tutti gli inconvenienti che il freddo porta con sé, come virus, febbre e raffreddore. Il tutto può essere attuato garantendo al nostro organismo il giusto apporto delle sostanze nutritive di cui esso ha bisogno.
In questo senso non dobbiamo dimenticare il ruolo svolto dalle spremute di agrumi, in modo da agire contro le infiammazioni e contro la carenza di vitamine.
 

É importante anche garantirci un adeguato pieno di energia soprattutto a colazione.
Possiamo farlo consumando cereali e succhi di frutta e aggiungendo yogurt e fermenti lattici, che contribuiscono a mantenere intatto l’equilibrio dell’intestino.
Ma la lista dei cibi utili potrebbe continuare per esempio anche con la zucca, che è ricca di antiossidanti e per questo aiuta a contrastare le infezioni respiratorie e urinarie.
 

Per sentirci energici e vitali nonostante il freddo, possiamo ricorrere a zuppe di verdure e legumi, che sono capaci di apportare vitamine e sali minerali.
Se invece vogliamo combattere anche lo stress, oltre al freddo, una tisana rilassante è l’ideale nei giorni grigi e piovosi.
Il nostro benessere ne ricaverà tanti vantaggi.
A ridosso dell'attività fisica diamo preferenza ad alimenti facilmente digeribili e ricchi di zuccheri, ed è consigliato mangiare 2/3 ore prima dell'inizio dell'attività.

domenica 5 dicembre 2010

Prevenzione e recupero da un infortunio

NUOVE IDEE SULLA PREVENZIONE E IL RECUPERO DEGLI INFORTUNI

La scienza dell'integrazione mente-corpo continua nei suoi miglioramenti sempre più stupefacenti. Ecco come influisce notevolmente sui processi di prevenzione dagli infortuni e di recupero.L'infortunio è da sempre temuto da ogni atleta e da ogni società sportiva. In particolare al giorno d'oggi, in cui la competizione è sempre più serrata, la possibilità di avere i propri atleti disponibili per tutto l'anno sportivo può fare la differenza tra una stagione vincente e una perdente.
Negli ultimi anni l'attenzione alla prevenzione degli infortuni è aumentata e si sono riscontrati alcuni progressi.

Molto rimane ancora da fare sia per i cosiddetti infortuni da stress, imputabili soprattutto a squilibri muscolari, sia per gli eventi traumatici più propriamente detti.Ovviamente l'infortunio è un momento difficile, sia per gli atleti che per le società, un momento che tutti cercano di superare nel minor tempo e con il minor danno possibile. Capita spesso che accelerare una procedura di recupero per logiche legate al risultato risulti controproducente, costringendo gli atleti a nuovi stop e ad affrontare problemi di solito più complicati di quelli iniziali.

Quanto è importante allora utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per accelerare questi processi di guarigione e allo stesso tempo preservare la salute dell'atleta? Gli strumenti attraverso il quale si diminuisce l'incidenza degli infortuni e si diminuiscono e agevolano i processi di recupero sono la terapia e la prevenzione.


I progressi più evidenti che risolvono casi che risolvono casi che qualche anno fa sembravano impossibili appartengono tutti alle scienze di integrazione mente-corpo e alle metodologie di allenamento mentale.

Il recupero terapeutico
Partendo dalla considerazione ormai condivisa che fare terapia significa occuparsi di un atleta nella sua interezza facciamo alcune considerazioni.
Se è ormai generalmente accettato che rimettere a posto una parte del corpo infortunata richiede un lavoro che riguarda tutto l'organismo nel suo complesso, altre tematiche sono da affrontare. Infatti se sono importanti il recupero funzionale dell'organo e un ri-equilibrio muscolare generale, ora si è in grado di spingersi oltre. Fare terapia significa anche il recupero completo di una piena propriocettività, significa superare la paura dell'infortunio, significa apprendere nuove modalità coordinative che utilizzino l'evento traumatico come esperienza di apprendimento.Essenzialmente il lavoro che proponiamo si basa (1) su tecniche mentali e (2) su tecniche di integrazione mente-corpo.

1. Come hanno già fatto atleti di livello assoluto, come lo stesso Michael Jordan, per esempio, durante il recupero da un infortunio, è di estrema utilità svolgere sedute di allenamento mentale. Queste sedute, attraverso esercizi di visualizzazione, allenamento ideomotorio, tecniche di concentrazione garantiscono il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

a. Ridurre drasticamente i tempi di recupero
b. Migliorare la tecnica individuale
c. Innalzare il livello di alcune qualità atletiche specifiche

2. Il recupero può essere velocizzato anche utilizzando varie tecniche di integrazione motoria, le cosiddette ginnastiche dolci, che ripristinano e migliorano le funzionalità dell'apparato propriocettivo, e aiutano l'atleta a trovare una migliore capacità di rilassamento per un utilizzo più economico della propria forza muscolare. Tali elementi oltre che coadiuvare il recupero si riveleranno utili al momento di riprendere l'attività. Il periodo di guarigione sulla base di queste considerazioni può addirittura essere di beneficio alla performance dell'atleta, permettendogli di lavorare su aspetti che vengono lasciati in secondo piano durante la normale preparazione tecnico-atletica.

L'atleta può così riprendere la propria attività più forte e determinato di prima.Negli ultimi anni i casi più eclatanti di atleti che hanno ottenuto risultati straordinari da questo tipo di lavoro sono stati quelli di Beppe Signori e di Andrè Agassi, che, grazie a metodologie di lavoro mentale e tecniche motivazionali, hanno trovato nuova energia e nuovi stimoli per tornare ai vertici dopo periodi molto difficili, causati da infortuni recuperati dal punto di vista fisico ma non da quello mentale.

Prevenzione
Nel campo della prevenzione molti sforzi sono stati fatti negli ultimi anni. Tuttavia, i programmi di prevenzione che oggi vengono maggiormente utilizzati partono ancora tutti da regole troppo generali che non tengono conto della diversità di ogni singolo individuo: la costruzione di un impalcatura muscolare solida e improvvisati programmi di ginnastica propriocettiva non sono più sufficienti a garantire un armonico utilizzo delle enormi potenze in gioco e un'adeguata ripartizione delle tremende sollecitazioni cui è sottoposto l'apparato osteo-articolare.
Le moderne tecnologie per la prestazione ottimale di cui disponiamo ci consentono di preparare piani di prevenzione molto più specifici ed efficaci. Attraverso un poderoso miglioramento delle afferenze propriocettive e la costruzione di schemi di risposta motoria ad eventi potenzialmente pericolosi, garantiamo un abbassamento notevole della probabilità che avvenga un evento traumatico, e rendiamo praticamente nulle le incidenze di eventi infiammatori derivanti da squilibri muscolari.


di Massimo Mondini
www.movimentoarcaico.it

domenica 17 ottobre 2010

Il recupero del giocatore infortunato

Tra le fasi di recupero che caratterizzano i calciatori infortunati vi sono quelle che si effettuano sul campo dopo che la prima fase riabilitativa, orientata al recupero della funzionalità persa, è stata completata e l'atleta presenta sufficiente forza motoria, stabilità articolare e sicurezza psicologica.
Nello sport l'obiettivo finale della riabilitazione è il recupero completo delle gestualità possedute dall'atleta prima dell'infortunio. In base a ciò, una corretta riabilitazione deve completarsi sul campo, correggendo e migliorando i difetti che possono emergere dal ritorno alla pratica sportiva.

Le condizioni più frequenti che richiedono il recupero funzionale sul campo sono rappresentate da strappi e stiramenti muscolari, fasi postchirurgiche, distorsioni del ginocchio e/o della caviglia.
La ripresa sul campo è logicamente diversa in relazione a vari fattori quali il tipo di infortunio, le caratteristiche fisiche e psicologiche del calciatore e il livello agonistico a cui lo sport viene praticato.
Alla base di un completo recupero vi è senza dubbio una perfetta interazione tra calciatore infortunato e rieducatore, che deve essere in grado di trasmettere all'atleta la sicurezza che i gesti che compirà hanno come fine ultimo solo la sua perfetta ripresa agonistica.

Rieducazione sul campo
Il recupero sul campo è diverso da infortunio a infortunio, ma alcune fasi sono simili tra loro e si diversificano solo in base alle caratteristiche del calciatore infortunato e alla sua risposta allo sforzo.
Prima di questa fase devono essere stati svolti vari programmi fisici che hanno portato al recupero della funzionalità (riposo attivo, esercizi in acqua, carico progressivo eccetera). Ovviamente sono necessari il raggiungimento della stabilità articolare e di una completa escursione articolare, il pieno recupero di flessibilità e forza muscolare, resistenza alla fatica, potenza e agilità.
Bisognerà curare molto anche l'aspetto psicologico del calciatore, tenendo sotto controllo il desiderio che questi può avere di guarire troppo in fretta, che spesso provoca un effetto opposto di sovraccarico, con ritardo del ritorno sul campo.

Ogni seduta inizierà con esercizi di stretching e terminerà con esercizi di defaticamento e, se necessario, l'applicazione di ghiaccio sulla parte interessata.
Gli esercizi di recupero sul campo possono essere divisi in varie fasi e il passaggio dall'una all'altra è strettamente legato all'assenza di dolore o gonfiore della parte interessata.
Normalmente tutto inizia con la conoscenza del calciatore infortunato da parte del rieducatore, di colui cioè che dovrà seguire passo per passo il recupero dell'atleta. Tale conoscenza, come già evidenziato, richiede un approccio non solo "fisico" ma anche psicologico.


DISTORSIONI

Ginocchio - Dopo il ripristino dell'articolarità e della forza muscolare, il lavoro è orientato secondo varie fasi indirizzate al recupero prima del movimento articolare, poi di resistenza e forza muscolare e, infine, di equilibrio, coordinazione e gesto atletico.

Caviglia - Dopo aver ridotto il dolore e il gonfiore con terapie fisiche (laser, ultrasuoni, crioterapia), si procede al recupero articolare e quindi al rinforzo della muscolatura (muscolo tibiale anteriore e muscoli peronieri) fino alla completa flessibilità articolare.


Esercizi di recupero sul campo
  • Corsa sul posto, in linea retta, con leggere variazioni di velocità
  • Corsa con frenate e curve (verificare l'assenza di controindicazioni)
  • Corsa con skip, cambi di direzione, scatti, arresti, balzi e comparsa del pallone
  • Gesto atletico vero e proprio (con il recupero di automatismi ed equilibri che caratterizzano da sempre la gestualità specifica del calcio).


dott. Giovanni Petrillo

mercoledì 22 settembre 2010

Il defaticamento

Gli esercizi di defaticamento, permettono di evitare problemi cardiologici dovuti alla brusca variazione d'intensità.

Se si interrompe improvvisamente l'allenamento intenso, infatti, i muscoli si fermano ma il cuore non è in grado di rallentare il proprio ritmo con la stessa velocità.

Così, in caso di brusca interruzione, il cuore continua a pompare sangue in circolo ad un ritmo elevato, determinando un maggiore flusso ematico ai muscoli e lasciando altre aree del corpo, come il cervello,

con quantità di sangue inadeguate.

È per questa ragione che dopo una seduta d'allenamento a ritmo sostenuto si possono avvertire dei capogiri; questi sono particolarmente comuni quando si scende dal tapis roulant o dalla bici.

Inoltre durante l’esercizio fisico i muscoli producono delle tossine che durante il defaticamento vengono trasferite dai muscoli agli organi cosiddetti di smaltimento favorendo quindi una ripresa più veloce ed efficace.

I benefici del defaticamento si avvertiranno non appena terminato in quanto i muscoli saranno più rilassati e distesi.

Si rinormalizza il respiro tramite ampi atti respiratori, anche durante una corsetta a ritmo basso.

Si fa stretching per allungare le fibre troppo contratte, ecc. ecc.. 



Insomma, immaginarlo come una fase di decompressione che evita all'organismo il brusco passaggio da impegno 100% a impegno 0 e per "organismo" intendo anche il sistema nervoso che ne beneficia se l'interruzione dell'attività è graduale e non brusca.

Il defaticamento quindi non ha solo la funzione di donare benessere alla persona ma anche di migliorare le prestazioni future.

Normalmente, la fase di defaticamento può durare da pochi minuti fino ad un quarto d'ora (a seconda dell'intensità dell'allenamento che la precede).

Il recupero muscolare

Recovery Nutrition

L'abilità degli atleti di effettuare prestazioni ai massimi livelli può essere limitata da diversi fattori, uno dei quali è la velocità con la quale i muscoli possono recuperare e riparare i danni provocati da un intenso allenamento.

Molti elementi concorrono al recupero muscolare, ma il più importante è senza dubbio l'alimentazione, anche se purtroppo è il fattore meno conosciuto e meno valutato anche da parte degli "addetti ai lavori".

Nell'ultima decade, le ricerche effettuate nei più importanti laboratori mondiali, hanno dato preziose informazioni su come la nutrizione possa incrementare il recupero e la performance. Infatti gli atleti che hanno saputo utilizzare queste conoscenze, hanno avuto un netto vantaggio rispetto ai loro competitor che non lo hanno fatto.


La Finestra del Recupero


L'allenamento, la pratica e la competizione sportiva provocano una intensa deplezione delle scorte di glicogeno muscolare, danni alle cellule muscolari, un aumento della fatica, dolore ed una diminuzione della funzionalità muscolare. Insieme ad altri fattori, l'abilità di avere prestazioni ai massimi livelli per molti giorni della settimana è limitata dall'abilità dell'organismo di ristabilire le scorte di glicogeno e di riparare i danni muscolari.

E' ormai ampiamente dimostrato e riconosciuto che la chiave per massimizzare il recupero è consumare carboidrati e proteine immediatamente dopo l'esercizio. Le ricerche oggi a disposizione concordano nell'indicare che un pasto ideale dovrebbe essere composto da una bevanda contenente carboidrati ad alto indice glicemico e proteine di rapida assimilazione con un rapporto di 4:1 e che rappresenti almeno il 10-20% dell'apporto calorico totale dell'atleta di questi due macronutrienti.

Il momento dell'assunzione è altrettanto importante, perchè le cellule muscolari sono altamente sensibili all'insulina dopo l'esercizio. Naturalmente tutti sapete che l'insulina è l'ormone responsabile per il trasporto del glucosio e degli aminoacidi all'interno del tessuto muscolare e che è responsabile dello stimolo alla sintesi di glicogeno e della sintesi proteica e che infine riduce il catabolismo muscolare.

Quando carboidrati ad alto indice glicemico e proteine vengono assunti immediatamente dopo l'esercizio, tutti i processi legati al recupero muscolare avvengono ad una velocità maggiore che in qualsiasi altro momento, ma questa "finestra anabolica" è aperta solo per circa 45 minuti.

Ciò è dovuto in parte al rapido declino del trasporto del glucosio nella membrana cellulare che aumenta durante l'esercizio. Se si apetta troppo a lungo ad assumere lo spuntino post allenamento, non solo i muscoli non resteranno a lungo sensibili all'insulina, ma diventeranno di fatto resistenti all'insulina compromettendo seriamente il recupero muscolare.

In uno studio condotto presso la Vanderbilt University, i ricercatori hanno valutato gli effetti di un supplemento post work out a base di proteine e carboidrati sulla sintesi proteica in seguito ad un allenamento di un ora. Ad alcuni soggetti venne somministrato il supplemento immediatamente dopo il work out e ad altri dopo 3 ore. I risultati dimostrarono che la sintesi proteica era almeno tre volte maggiore nei soggetti che avevano assunto la bevanda dopo l'allenamento rispetto a quelli che avevano assunto lo stesso supplemento tre ore dopo l'allenamento. Altri studi hanno evidenziato lo stesso fenomeno a riguardo del rispristino delle scorte di glicogeno.

Si sono anche esaminati gli effetti di una appropriata alimentazione post allenaqmento nell'esecuzione di prestazioni multlipe. Per esempio, in uno studio alcuni atleti hanno effettuato un allenamento intenso al termine del quale un gruppo ricevette una classica bevanda sportiva, mentre un altro, una bevanda a base di proteine e carboidrati durante il periodo di recupero di un ora. Dopo questa ora di recupero, i soggetti effettuarono un secondo allenamento intenso. Coloro che avevano consumato la bevanda a base di proteine e carboidrati, superarono nella prestazione del 20% gli altri soggetti. Questi studi hanno chiare implicazioni sul come gli atleti dovrebbero valutare la loro alimentazione sopratutto quando devono competere più di una volta al giorno.



Mantenere Forza e Salute




Quando una corretta alimentazione è seguita per un lungo periodo e su base giornaliera, importanti benefici si verificano anche nel lungo termine. Specificatamente l'atleta può incrementare la sua forza e la sua massa muscolare e ridurre il rischio di traumi.

Il primo di questi benefici è stato dimostrato in uno studio pubblicato sul Journal of Physiology. Atleti che hanno ricevuto una supplementazione di proteine e carboidrati, chi immediatamente dopo l'allenamento ed altri dopo due ore, hanno partecipato ad un programma di allenamento per la forza di 12 settimane. Negli atleti che ricevettero un pasto a base di proteine e carboidrati immediatamente dopo ogni sessione di allenamento, la massa muscolare aumentò del 8% e la forza migliorò del 15%. Quando il supplemento venne assunto due ore dopo la sessione di allenamento, non ci fù alcun miglioramento nella forza e nella massa muscolare. Fino ad ora, nessuno studio è stato condotto per valutare gli effetti a lungo termine della supplementazione di proteine e carboidrati effettuata immediatamente dopo l'allenamento. Un nuovo studio però, condotto presso la Iowa State University ha investigato questi effetti ed ha prodotto alcuni interessanti risultati. Sei plotoni di soldati appartenenti al corpo dei Marine, sono stati assegnati ad un programma di allenamento ed a tre protocolli di assunzione. Tutti i giorni dopo la sessione di allenamento i Marine hanno ricevuto rispettivamente un prodotto placebo non calorico; un pasto a base di carboidrati ed un po' di grassi ed un pasto a base di proteine, carboidrati ed un po' di grassi. I ricercatori hanno rilevato che il gruppo che assumeva la bevanda a base di proteine e carboidrati, riportavano il 37% in meno di infortuni rispetto al gruppo placebo e di controllo, certamente dovuto ad una maggiore capacità di recupero muscolare.

Colonna vertebrale

NELLO SPORT, nei periodi di maggiore intensità dei carichi di allenamento, specialmente in vista di gare importanti, alcuni atleti lamentano sintomatologie dolorose localizzate nel tratto lombo-sacrale.



Salvo casi particolari di preesistenti patologie osteoarticolari, il dolore può derivare da:



- Insufficiente riscaldamento generale e specifico. Un buon riscaldamento permette di innalzare la temperatura del muscolo e di migliorarne nel contempo l'irrorazione sanguigna, il metabolismo e la elasticità. Quindi, oltre ad un maggiore rendimento, si possono evitare stiramenti e strappi muscolari. Aumenta anche il trofismo dei tessuti privi di vasi sanguigni (cartilagini articolari e dischi intervertebrali) per cui avviene una ottimale diffusione di liquidi e substrati nutritivi. Diminuisce anche la viscosità del liquido sinoviale delle articolazioni e, di conseguenza, ne viene migliorata la funzionalità in quanto le facce articolari scorrono più facilmente.



- Residuo di tossine e congestione muscolare derivanti da inadeguata esecuzione di esercizi di "defaticamento" al termine di ogni allenamento o da scarso recupero tra un allenamento e l'altro. Sempre al termine di ogni allenamento vanno limitati gli esercizi di "defaticamento" che imitano il gesto tecnico che ha comportato il sovraccarico in quanto, pur essendo funzionali per l'apparato muscolare e cardiocircolatorio, mantengono i dischi in compressione (es.: defaticamento in barca dopo allenamento di canottaggio, leggera corsa dopo allenamento di fondo, ecc.).



- Squilibrio di forza e di elasticità della muscolatura deputata al fisiologico allineamento tra colonna vertebrale, bacino e femori. Questi muscoli vanno rafforzati e nel contempo mantenuti elastici con adeguati esercizi di potenziamento e allungamento muscolare.



- Insufficiente utilizzo di esercizi di stretching muscolare e mobilità articolare dopo ogni allenamento. Lo stretching allunga e decontrae i muscoli mantenendoli estensibili, mentre gli esercizi di mobilità riportano l'articolazione ad uno stato di efficienza ottimale.



- Compressione continua delle colonna vertebrale durante e dopo l'allenamento. L'attività fisica intensa e le posture fisse (studiare, vedere la televisione, andare in macchina, ecc.) sovraccaricano senza soluzione di continuità i dischi intervertebrali compromettendone progressivamente il ricambio nutrizionale e determinandone un assottigliamento per deidratazione. La nutrizione dei dischi, infatti, non avviene attraverso i capillari sanguigni ma con una azione di "pompa" (perfusione) che permette l'entrata e l'uscita di liquido. Grazie agli esercizi di scarico eseguiti a fine allenamento si ottiene una veloce reidratazione dei dischi e un afflusso di sostanze nutritive. Un discorso analogo vale anche per le altre articolazioni ove il carico fisso e prolungato ostacola il metabolismo, basato sul meccanismo di diffusione, della cartilagine ialina.



Alcuni esercizi di decompressione discale

Photobucket



La METODOLOGIA è simile allo stretching:




- 6-8 secondi per andare in allungamento (lentamente);

- circa 60 secondi di mantenimento della posizione di massimo allungamento;

- 6-8 secondi per tornare alla posizione di partenza (lentamente);

- 6-8 serie totali.



Gli esercizi con una posizione del corpo parzialmente sollevata e sostenuta da apposito attrezzo prevedono, ove possibile, un tempo unico di allungamento e decompressione di circa 10 minuti.

Difendersi dall'affaticamento muscolare

Spesso dopo una seduta dall'allenamento molto intensa, al risveglio il mattino seguente avvertiamo un senso di stanchezza e pesantezza alle gambe ed alle braccia.

Tale sintomo è detto "affaticamento muscolare"

Come prevenire e curare l'affaticamento muscolare?:

Innanzitutto per difendere muscoli e tendini da sforzi eccessivi occorre iniziare piano e progredire lentamente. Inutile e aggiungerei doloroso cimentarsi con il paraocchi in una nuova attività senza essere fisicamente preparati.

L’allungamento o stretching al termine della seduta contribuisce ad attenuare il dolore andando ad agire su quella componente che abbiamo chiamato spasmo muscolare. Alcuni studi hanno dimostrato l’effetto benefico di una somministrazione di vitamina E nella diminuzione del dolore e dell’infiammazione

Date le proprietà antiossidanti di tale vitamina, evitando il ricorso ad integratori specifici, si consiglia semplicemente l’adozione di una dieta ricca di frutta e verdura. Nonostante si tratti di una raccomandazione piuttosto frequente e generalizzata è bene ribadire ancora una volta l’importanza che essa riveste nella prevenzione di moltissime patologie.

Cos'è lo spasmo muscolare?:

Si tratta fondamentalmente di una circostanza in cui alcune fibre muscolari mantengono la contrazione anche dopo il termine del movimento.

Quando si instaurano questi eventi traumatici in genere l’entità della sintomatologia dolorosa aumenta fino a 48 ore dopo lo sforzo per poi risolversi positivamente nel giro di 3-6 giorni in base alla durata e all’intensità dello sforzo effettuato. Le cellule danneggiate si cicatrizzano e si assiste contemporaneamente ad un processo di riorganizzazione e di adattamento funzionale che aumenta la resistenza del muscolo. Nei due o tre allenamenti successivi al primo la percezione del dolore diminuisce fino a scomparire del tutto dopo tre o quattro allenamenti.

Cos'è la vitamina E ed in quali cibi è possibile trovarla?:

La vitamina E, è una vitamina liposolubile, cioè solubile in grassi e oli.

Il ruolo primario della vitamina E è quello di proteggere i tessuti dell’organismo dalle reazioni dannose (periossidazione), un altra funzione importante è la prevenzione dalle malattie cardiovascolari.

Arachidi, soia, mais, palma, girasole e il germe di grano rappresentano le principali fonti di vitamina E.

La vitamina E, è presente anche nelle noci, nei semi, nei cereali a grano intero e nelle verdure a foglia verde.

Il crampo

IL CRAMPO



Capita a volte, praticando l'attività sportiva, di avvertire un dolore al polpaccio, alla parte posteriore della coscia o al piede, improvviso e spesso molto acuto. è un dolore intenso e lancinante, che non scompare e impedisce il protrarsi dell'attività fisica stessa; questa situazione si chiama "crampo".

I crampi sono delle contrazioni muscolari violente, involontarie ed improvvise che solitamente si presentano durante uno sforzo, o perfino durante la notte, nel sonno. Queste contrazioni sono favorite dalla perdita di liquidi e sali minerali che avviene con la sudorazione durante l'attività fisica.


In effetti, quando si suda durante un allenamento, si crea uno squilibrio elettrolitico nei muscoli, dovuto proprio alla perdita di liquidi e sali minerali contenuti nel sudore. Questi elementi vanno, quindi, reintegrati al più presto possibile. Se ciò non accade, è possibile andare incontro ai crampi.

I crampi però possono essere evitati, innanzitutto praticando stretching prima e dopo l'attività fisica e prolungando le sedute di allenamento ogni volta un po' di più, in modo che il corpo si abitui gradualmente allo sforzo fisico.

Abbinate a questa pratica anche un immediato reintegro di liquidi e sali minerali con appositi cibi o bevande che contengano le giuste quantità di sodio, magnesio, calcio e potassio. Può essere utile anche, prima di iniziare l'allenamento, bere del succo di frutta e dell'acqua minerale, che serviranno a contrastare la successiva perdita di liquidi.


Evitate di assumere diuretici, antistaminici o alcolici prima dell'allenamento perché i primi aumentano la perdita di liquidi mentre i secondi favoriscono la disidratazione.

Evitate anche di fare attività fisica subito dopo aver mangiato, poiché la digestione utilizza la maggior parte del sangue in circolo sottraendolo a tutto il resto del corpo, quindi anche ai muscoli, predisponendo più facilmente all'insorgenza dei crampi.

Anche l'abbigliamento può essere d'aiuto: non indossate nulla di scuro, ma preferite indumenti chiari perché questi assorbono meno calore e quindi vi fanno sudare di meno. Inoltre assicuratevi che il materiale con cui sono fatti gli indumenti che utilizzate per l'allenamento siano capaci di far traspirare la pelle, garantendovi così la giusta temperatura; evitate quindi indumenti "plastificati", che alterano la termoregolazione (e non servono a far dimagrire!). Per quanto riguarda le calzature evitate le scarpe troppo strette o di stringere troppo i lacci.

Non vi sono cure particolari per i crampi. L'unica soluzione è quella di reintegrare immediatamente i liquidi persi e di agire direttamente sul muscolo colpito. Se il crampo vi ha colpito al polpaccio, sedetevi a terra con la gamba dolorante tesa e l'altra piegata, afferrate le dita del piede e tirate verso di voi finché non sentite che la rigidità del muscolo diminuisce. Se il crampo, invece, ha colpito la coscia, dovete ricorrere all'aiuto di qualcuno che vi alzi il calcagno e spinga forte il ginocchio verso il basso, mentre voi massaggiate il muscolo colpito. Entro pochi secondi tutto dovrebbe passare. Se il crampo colpisce il piede, fate come per il polpaccio, tirate verso di voi le dita e spingete il calcagno in avanti; se colpisce la mano, congiungete la mano dolorante con quella che non vi fa male e spingete le dita verso il polso.

Tutte queste tecniche, così come lo stretching, servono ad allungare il muscolo ed evitare che questo si contragga più del dovuto, o a riportarlo ad una lunghezza normale quando viene colpito dal crampo. E' importante eseguire queste azioni di "allungamento" in maniera dolce e graduale: un movimento "brusco" potrebbe accentuare la contrattura del muscolo invece di favorire la scomparsa della stessa.



La distorsione alla caviglia

LA DISTORSIONE ALLA CAVIGLIA


"Una caviglia lesa e instabile rappresenta il presupposto di distorsioni recidivanti, si comprende quindi l'importanza di una buona rieducazione dopo un episodio distorsivo"






In Italia si stimano circa 50000 traumi distorsivi alla caviglia al giorno, questo significa che è uno dei traumi più comuni negli sport e nelle attività ricreative.



La distorsione alla caviglia è il più frequente trauma muscolo-scheletrico dell’arto inferiore. Gli sport dove questo trauma è più frequente, in ordine crescente, sono: pallavolo (56%), basket (55%), calcio (51%)e la corsa di resistenza (40%).



Nella distorsione alla caviglia quasi sempre rimane un dolore residuo abbastanza significativo che comporta una limitazione funzionale. Anche dopo che il trauma è stato curato si ha una percentuale variabile di pazienti, che va dal 10% al 30%, che lamentano una sintomatologia cronica caratterizzata da sinoviti, tendinopatie, rigidità, aumento di volume, dolore ed insufficienza muscolare, associati o meno ad instabilità del collo del piede con difficoltà a deambulare su terreni irregolari o episodi distorsivi recidivanti, a prescindere dal trattamento dell’episodio acuto. Questo avviene perché il danno del trauma distorsivo non avviene solo a carico del tessuto legamentoso, ma anche del tessuto nervoso e muscolo-tendineo, intorno al complesso della caviglia.



Il tempo necessario per il recupero funzionale completo, qualunque sia il trattamento riservato al paziente (chirurgico o conservativo), varia dalle 3 alle 5 settimane; il tempo necessario prima di tornare al lavoro varia dalle 4 alle 7 settimane; e prima che il paziente possa ritornare alla pratica sportiva occorrono 10 settimane. I tempi di recupero, di solito, negli sportivi professionisti sono più corti perché il tempo riservato alla riabilitazione è molto maggiore rispetto ad esempio ad uno sportivo amatoriale.








La distorsione è la perdita momentanea ed incompleta dei rapporti articolari fra due capi ossei.



I traumi distorsivi possono essere acuti (in seguito ad urti, contrasti, scontri o improvvisi cambi di direzione) o cronici (dopo carichi notevoli e prolungati). L'evento traumatico può portare, nella caviglia di un atleta, ad una patologia articolare, suddivisa in due quadri:


quello della lassità, con lesioni capsulari, distensioni e lacerazioni del comparto legamentoso laterale e mediale della tibiotarsica e della sottoastragalica, che determinano una escursione articolare oltre i limiti fisiologici;


quello dell’ instabilità, che l'atleta avverte come un segno di cedimento articolare durante il gesto sportivo ed anatomopatologicamente obiettivabile in una rottura più o meno totale dei legamenti.



  • 5000 traumi distorsivi ogni giorno in Italia

  • 20% traumi sportivi

  • disfunzione cronica nel 30% dei casi e frequenti recidive

  • costi sociali elevati


"Una caviglia lesa e instabile rappresenta il presupposto di distorsioni recidivanti, si comprende quindi l'importanza di una buona rieducazione dopo un episodio distorsivo"


caviglia anatomia


CLASSIFICAZIONE


DELLE DISTORSIONI


Grado 0: tilt astragalico inferiore a 8°, non rotture legamentose;


Grado 1: tilt astragalico (10°-20°), rottura legamento peroneo- astragalico anteriore;


Grado 2: tilt astragalico (20°-30°), rottura legamento peroneo- astragalico anteriore e peroneo calcaneare;


Grado 3: tilt astragalico superiore a 30°, rottura di tre legamenti




SINTOMATOLOGIA


DELLA DISTORSIONE


• Dolore vivo, localizzato a livello della zona anteriore del malleolo peroneale, che insorge durante la palpazione; • Tumefazione modesta o cospicua a livello periarticolare ed articolare, segno della rottura della piccola arteriola passante al di sopra del legamento peroneo-astragalico anteriore (segno di Robert-Jaspert); • Limitazione funzionale causata dal dolore che il paziente avverte durante i movimenti dell’articolazione; • Instabilità dell’ articolazione tibio-tarsica


IL TRATTAMENTO CONSERVATIVO


è diviso in 3 fasi: Acuta Sub-acuta Di Rieducazione Funzionale




FASE ACUTA




Il protocollo più accreditato per le lesioni acute è il P.R.I.C.E. Protection Rest Ice Compression Elevation In fase acuta gli obiettivi sono: a) L’immobilizzazione; b) Diminuzione degli "irritanti chimici" che causano dolore e favoriscono la "stasi tissutale" (ovvero l’edema); c) La prevenzione di ulteriori sollecitazioni meccaniche della struttura lesa.




FASE SUBACUTA


In fase sub-acuta lo scopo del trattamento è quello di sottoporre il tessuto leso ad una serie di sollecitazioni meccaniche, utili per promuovere l’orientamento fisiologico delle fibre collagene. Gli obbiettivi in questa fase sono: a) L’eliminazione del dolore; b) Il recupero della particolarità; c) L’eliminazione dello spasmo muscolare; d) L’eliminazione dell’edema; e) Il recupero della forza muscolare. Per raggiungere questi obbiettivi si utilizzano massaggi, terapie fisiche, tecniche di mobilizzazione e la cinesiterapia.




FASE DI RIEDUCAZIONE FUNZIONALE


Nella fase di rieducazione funzionale si mira al: a) Recupero della propriocettività; b) Recupero della forza; c) Prevenzione delle recidive.




IL BENDAGGIO FUNZIONALE previene l'insorgere di ricadute o recidive quando si riprende l'attività motoria; evita i danni di una prolungata immobilizzazione o inattività funzionale; riduce i tempi di recupero










Qualora si riporti una distorsione alla caviglia in luoghi avversi, lontano da possibili soccorsi, è bene non togliersi la scarpa per esaminare la lesione. Il conseguente dolore associato a gonfiore potrebbe infatti ostacolare il reinserimento del piede nella scarpa.




RIEDUCAZIONE PROPRIOCETTIVA


Con il termine di rieducazione propriocettiva, come appare chiaro dal termine stesso, si intendono tutte le metodiche e gli esercizi mirati a stimolare e rieducare la sensibilità propriocettiva, quella, cioè, che ci permette di conoscere anche ad occhi chiusi la posizione del nostro corpo e dei suoi segmenti nello spazio.





Particolari recettori raccolgono i segnali di origine periferica, trasmettendoli al sistema nervoso centrale che elabora le informazioni ricevute e le integra con altre afferenze (visive, labirintiche), per organizzare adeguate risposte motorie.


La funzione dei propriocettori è quindi fondamentale per regolare il tono muscolare, la postura e la corretta esecuzione dei movimenti.





GLI ESERCIZI PROPRIOCETTIVI


(VEDI ANCHE L'APPOSITA SEZIONE DEL SITO "PARTE ATLETICA--PROPRIOCETTIVITA'")


Gli esercizi propriocettivi sono quindi quelle attività che vanno a stimolare il sistema propriocettivo, con l'obbiettivo di allenarlo a fornire delle risposte rapide ed adeguate in situazioni destabilizzanti e potenzialmente pericolose, coscientizzando l'individuo nei confronti del proprio corpo. In particolare la rieducazione propriocettiva nel caso della caviglia deve proporsi come fine quello di far acquistare all’ articolazione tibio-tarsica una maggiore coordinazione nelle contrazioni muscolari e delle leve ossee, in relazione al movimento .


Inizialmente la rieducazione propriocettiva si effettua in scarico o in maniera passiva, per abituare il paziente a percepire le diverse caratteristiche del movimento indotto e coscientizzarlo riguardo alle sue possibilità di reazione motoria.


Successivamente, prima di eseguire gli esercizi propiocettivi in stazione eretta andremo a fare recuperare, se non ancora presente, un’equa distribuzione del carico. Successivamente si propongono esercizi su superfici instabili, come i piani circolari, le tavolette quadrate e le semisfere Il paziente deve imparare a mantenere l’equilibrio con semplici movimenti delle caviglie, inizialmente ad occhi aperti e con l’aiuto del terapista, successivamente senza aiuto e senza il controllo visivo. Il lavoro prosegue poi in monopodalica sia sull’arto leso sia su quello sano. In questa fase il terapista può aiutare il paziente, o destabilizzarlo con delle spinte quando ha raggiunto un buon controllo dell’equilibrio. Quando il paziente ha recuperato una buona deambulazione si procede con l’eseguire un percorso propriocettivo composto da cuscini che hanno una diversa consistenza e deformabilità, in modo da adattare il passo e stimolare i recettori propriocettivi durante la camminata su un terreno non omogeneo







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RINFORZO MUSCOLARE


Nella riattivazione motoria, dopo un qualsiasi trauma, distorsivo o meno, ricopre un ruolo fondamentale il rinforzo muscolare, in quanto un buon trofismo dei muscoli riduce il rischio di lesioni recidivanti e permette al paziente di riprendere a pieno regime le attività che svolgeva prima dell’incidente. Nella rieducazione della caviglia dopo una distorsione dobbiamo prestare particolare attenzione ai movimenti che andremo a far compiere al paziente, in modo tale da non procedere subito con esercizi che possono recare danni al comparto che ha subito il trauma. Per questo motivo è meglio cominciare con esercizi molto leggeri, divisi in più serie con poche ripetizioni


Lo strumento più utilizzato per il rinforzo muscolare è l’ elastico, in quanto permette di dosare il carico ed è molto versatile per questo tipo di esercizi. Gli stessi esercizi possono essere effettuati con l’ausilio di una palla di spugna . Quando il paziente è in grado di camminare senza evidenziare zoppia e senza accusare dolore nella zona interessata si può procedere con l’esecuzione di esercizi a carico completo. Possiamo dividere questi esercizi in due categorie. La prima è per il potenziamento dei muscoli della gamba, più precisamente per quelli della loggia posteriore. La seconda invece è mirata al potenziamento dei muscoli della coscia.







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IL RECUPERO DEL GESTO


La fase successiva è quella del recupero del gesto atletico, che è mirata non solo a l recupero della meccanica del passo normale, ma al recupero ottimale per tornare a svolgere attività fisiche come prima dell'infortunio.







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LA RIABILITAZIONE IN ACQUA


La riabilitazione in acqua prevede l'esecuzione di esercizi, molte volte gli stessi che si eseguono in palestra, con il corpo parzialmente immerso nell’acqua





Questo tipo di riabilitazione sfrutta alcune leggi fisiche come:



  • Principio di Archimede



  • Reazione Viscosa


Anche la riabilitazione in acqua si divide in tre parti:


Rieducazione propiocettiva


Rinforzo Muscolare


Recupero del Gesto





La Rieducazione propiocettiva


si invita il paziente a camminare lungo la vasca mantenendo sotto il piede una tavoletta galleggiante in modo da creare una situazione di instabilità continua durante le varie fasi del passo.


Il Rinforzo Muscolare


esercizi con lo step, flesso-estensione delle gambe con sostegno di un galleggiante, nuoto a stile libero con le pinne in modo tale da aumentare la resistenza dell’acqua, camminate con attrezzi che aumentano la resistenza dell’acqua nello specifico del gesto e movimenti di adduzione, abduzione e flesso-estensione della gamba da stazione eretta.

Il Recupero del Gesto

Andremo ad eseguire vari tipi di camminata, in avanti, all’indietro, laterale, corsa nelle tre direzioni, balzi, saltelli e tutte le altre situazioni a cui si può andare incontro durante il ritorno all’attività da parte del paziente. Tutti questi esercizi potranno subire variazioni come, ad esempio per il cammino, camminare in avanti prima esasperando la flessione del ginocchio andando quasi a toccarsi la zona addominale, oppure mantenendo le gambe rigide.